Le quote rosa potrebbero diventare una realtà già entro il 2015. Il governo ha ritirato il parere negativo all’emendamento Germontani e i tempi perché il disegno di legge firmato da Lella Golfo e Alessia Mosca (quello che obbliga i consigli di amministrazione della aziende quotate in Borsa di essere composti almeno per il 30% da donne) si riducono. Il governo ieri non aveva voluto cedere alla proposta della Commissione Finanza del Senato (dove si discuteva il ddl) che prevedeva in due, anziché in tre (e quindi nel 2018), rinnovi del Consiglio di amministrazione la realizzazione delle quote. Il passo indietro dell’esecutivo apre ora la strada all’approvazione del disegno di legge. Il testo, dopo il voto bipartisan dei mesi scorsi alla Camera, adesso è pronto ad andare in aula anche al Senato e poi ritornare a Montecitorio.
Al di là della tempistica, gli altri emendamenti del governo hanno comunque ammorbidito il disegno di legge. Se nel testo originario si prevedeva, in caso di mancato rispetto delle quote rosa, il decadimento del cda, uno degli emendamento del governo passati prevede che, alla diffida della Consob, segui solo una multa il cui valore massimo è fissato in 1 milione per il cda e 200 mila euro per i collegi sindacali. Non solo, un altro emendamento passato ha stabilito che l’obbligo di attenersi alle quote riguarda solo le società costituite in Italia, e non tutte quelle quotate.
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