La settimana lavorativa corta, di quattro giorni, è al momento il tema più dibattuto in maniera bilaterale da lavoratori e organizzazioni. Tra gli ultimi a proporla, FIM CISL che chiede di estendere la sperimentazione, come già avvenuto nel Regno Unito e in altri Paesi europei. Sebbene in Italia sia un benefit che riguarda solo il 5,9% delle persone, stanno nascendo progetti pilota e proposte dettati anche dalla necessità di ridurre i costi energetici, oltre che dalla richiesta delle persone di un maggiore equilibrio tra vita privata e lavorativa. Ad analizzare questa tendenza è stato l’ADP Research Institute all’interno del proprio studio “People at Work 2022: A Global Workforce View ” , svolto su circa 33mila lavoratori in 17 Paesi, di cui circa 2 mila in Italia.
Dallo studio risulta che il 56% degli italiani intervistati sarebbe disposto a passare alla settimana lavorativa corta, portando a 10 ore l’impegno di lavoro giornaliero, così da ottenere un maggiore equilibrio tra vita privata e professionale.
Al contempo, il 35% sarebbe disposto a ridursi lo stipendio pur di ottenere un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata. Mentre il 26% degli intervistati accetterebbe una riduzione media del 9,9% dello stipendio se questa garantisse loro la flessibilità di decidere come strutturare le ore lavorative, anche senza una riduzione dell’orario di lavoro settimanale.
Flessibilità cruciale per il futuro delle imprese
“L’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa è una delle questioni che più sta influenzando il mondo del lavoro in questi anni: la pandemia ha fatto sorgere tra i lavoratori nuove esigenze, che le imprese devono prendere in considerazione e integrare nella propria strategia di reclutamento e gestione dei dipendenti, se non vogliono essere penalizzate in termini di attrattività verso i nuovi talenti e risorse”, commenta Marcela Uribe, General Manager ADP Southern Europe.
Non stupisce, dunque, che tra i fattori principali che contribuiscono maggiormente nella scelta di un posto di lavoro, il 48% degli italiani abbia indicato il worklife balance , che si posiziona al secondo posto dopo solamente la remunerazione economica (68%). Si tratta di un criterio che riguarda più donne (52%) che uomini (44%), ma comunque trasversale a tutte le generazioni e che, anzi, aumenta con l’avanzare dell’età lavorativa. Inoltre, è una necessità particolarmente sentita da quelle categorie di lavoratori che non hanno accesso al lavoro da remoto (52% vs 44% di chi fa uso di smart working) e che, quindi, desiderano poter usufruire di forme alternative di flessibilità lavorativa.
Appare quindi evidente che per le aziende la flessibilità – di orario e/o di luogo – potrebbe avere un ruolo cruciale nel prossimo futuro per garantire il livello di equilibrio tra lavoro e vita privata desiderato dai dipendenti, specie se collegata all’attuale gap tra domanda ed offerta di lavoro. A tendere, infatti, le risorse migliori potrebbero scegliere di andare verso quelle aziende che offriranno loro condizioni lavorative più vicine alle proprie esigenze. Basti pensare che il 45% degli italiani intervistati prenderebbe o ha preso in considerazione l’idea di cercare un altro lavoro se il loro datore di lavoro insistesse sul ritorno in ufficio a tempo pieno.
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