È da tempo che molte aziende, e tra queste le più attive a livello globale, s’impegnano per ridefinire in modo efficiente le loro architetture organizzative. Non è un compito facile e, se si riflette sulla necessità improrogabile di mantenere parallelamente stabili i business all’interno di questo profondo cambiamento culturale, il quadro risulta essere oltremodo complesso.
È chiaro ormai a tutti noi che l’era digitale ha trasformato in modo unico l’attività in ogni dove e, in aggiunta, il perenne discutere di intelligenza artificiale ci fa intendere che siamo alle soglie di un ulteriore vasto mutamento. Va anche sottolineato che, in questa grande trasformazione che ci porterà verso un futuro non ancora ben definito, stiamo abbandonando totalmente competenze e conoscenze pregresse di ogni tipo.
Sono ritenute inutili, vane e non più fruibili da chi inneggia a un “nuovo” del quale onestamente e oggettivamente sino ad ora non si possono tessere solo lodi. La situazione impone poi altre e più accurate considerazioni affinché le squadre aziendali affrontino con sicurezza ed equilibrio il percorso. Lo smart working ha ridefinito totalmente l’attività di relazione interna, ma non è sufficiente. Il luogo di lavoro, da sempre garante di chiusura e delimitazione tra i reparti operativi, si sta anch’esso adeguando, puntando su una totale condivisione e inclusione.
L’obiettivo è creare un vero, unico e sentito ambiente dove l’individuo, grazie a un rinnovato e studiato contesto, possa essere a proprio agio in ogni momento. Nascono così aree personalizzate, sale riunioni capaci di invogliare i partecipanti a esporsi, a creare momenti necessari e propedeutici allo sviluppo; aree break idonee a interpretare in modo sensibile le necessità istintive dei collaboratori. Tutto questo aiuterà?
Ricordo positivamente che anni fa, in un business game organizzato in azienda, il consulente con il quale collaboravo riuscì a creare un corretto aggettivo per specificare come noi popolo aziendale avremmo dovuto evolvere. L’obiettivo era costruire una nuova squadra; una “generazione di mutanti” capaci di interpretare e seguire con sensibilità e determinazione i continui e repentini cambiamenti.
I cicli, oggigiorno così veloci, impongono ulteriori approfondimenti svincolati totalmente dalle “certezze” desuete. Ancora una volta, come logico, l’attenzione si concentra sui manager e la loro capacità di rendersi unici, disponibili a evolvere per garantire reale innovazione. Servono più “manager esploratori” che, nel rinunciare a ruoli pregressi e definiti, con coraggio affrontino percorsi assolutamente mai intrapresi, assicurando condivisione, entusiasmo ed esempio per tutti. Dedichiamo poi la corretta attenzione a chi con lucidità affronta temi come quelli relativi al tempo da dedicare alla riflessione, necessaria sempre e comunque.
Patrizia Musso, per esempio, autrice di molteplici pubblicazioni, attraverso la sua coerente e costante attività destinata allo slow manager sottolinea come l’individuo debba assumersi ogni tipo di responsabilità, ma al contempo dedicare e dedicarsi spazi per approfondire sempre e comunque. Insomma, veloci, ma sempre riflessivi! La qualità del risultato si raggiunge unicamente considerando ogni area in gioco e sono utili alla causa momenti continui di approfondimento. Non dimentichiamo poi di “allenare” tenacemente sensibilità ed emozioni. Tutti ne sentono la necessità…anche nell’odierna era digitale.
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