Che Paese è quello in cui il 5% della popolazione – pagando le tasse – si mette in pari o supera (abbondantemente, viene da aggiungere) la quota pro-capite di debito pubblico che lo Stato spende ogni anno? È questo il quadro desolante che verrebbe fuori dall’elaborazione dei dati Istat, Agenzia delle Entrate e Ministero dell’Economia e delle Finanze. Nei fatti, come ha riportato Alberto Brambilla sul Corriere della Sera: «Sulla spesa pubblica totale, pari per il 2021 a 871,003 miliardi, la spesa pro-capite è di 14.561 euro per abitante e solo il 5,01% dei cittadini versa un’Irpef da 15.042 a 177.701 euro e che quindi sarebbe più che autosufficiente». Se tanto mi dà tanto, non esiste per quanto lodevole principio di redistribuzione che tenga: siamo un Paese in cui, in primis da parte di governanti e politici per ragioni biecamente elettoralistiche, viene legittimata l’evasione fiscale. Dove si distribuisce a casaccio l’elemosina di Stato economica, creando dipendenza anziché supporto e dignità per chi la riceve.
Lo sappiamo già dal debito pubblico monstre: siamo un Paese che da molto tempo spende (male) soldi che non ha, e che da altrettanto tempo spende (a sproposito) i soldi di una minima parte dei cittadini per supportare e sostenere la stragrande maggioranza della restante parte della sua popolazione. Questo avviene per la sanità e l’istruzione, per la giustizia e la sicurezza, ovvero per tutti i servizi pubblici in generale.
Siamo un Paese cannibale, che si autofagocita. Neanche così furbo, come si sarebbe detto un tempo, perché alla lunga – e la nostra condizione sta qui a dimostrarlo plasticamente – anche chi si considera ganzo si trova direttamente o indirettamente a pagarne prima o poi pegno, in termini di disservizi, disattenzione, mancanza di sicurezza e assistenza generalizzata. Ricordate le recriminazioni e i peana durante la pandemia, quando sembrava fosse sbocciata una coscienza civile anche nel petto dei più torbidi evasori? Acqua passata: a pericolo scongiurato, ci ritroviamo come prima, se non peggio di prima. C’è una frase del presidente Ronald Reagan passata alla storia secondo cui «il contribuente è uno che lavora per lo Stato senza essere un impiegato statale». Ebbene, è tempo di riscriverla, perché in Italia: «il povero contribuente è uno che lavora a sua insaputa per un gruppo di imperterriti evasori grazie all’imperscrutabile collusione di uno Stato che ha scelto l’ignavia come linea politica».
© Riproduzione riservata