Il lavoro non è a misura di donne

Il lavoro non è a misura di donne© GettyImages

Da che mondo è mondo, gli spazi e i contesti nascono dalle esigenze di chi questi spazi e contesti è destinato ad abitarli. Lo stesso vale per il mondo del lavoro: storicamente le imprese hanno “parametrato” (che brutta parola…) i tempi e le modalità per esplicare le funzioni dei singoli lavoratori in base a chi nelle imprese prevalentemente lavorava, ovvero gli uomini. Quindi, le lavoratrici che in tempi più recenti hanno via via fatto il loro ingresso nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e via discorrendo hanno dovuto adeguarsi a una prassi lavorativa che era stata pensata da sempre per i lavoratori maschi. Ancor di più se si parla di ruoli apicali, perché le funzioni decisionali sono sempre state “elettivamente” una prerogativa maschile.

Traslando il discorso, lo si è visto per esempio nel mondo della ricerca scientifica: è informazione recente, che certi farmaci funzionino meno o in modo diverso sulle pazienti donne perché sono stati sperimentati sugli uomini. Immaginarsi la stessa cosa trasposta all’interno di un contesto sociale e lavorativo… Non è un caso se donne manager e professioniste si trovano spesso a dover adottare (innaturalmente?) modus operandi dei colleghi uomini, se vogliono stare al passo della competizione. Checché se ne dica, non esiste ancora una “grammatica” femminile nella costruzione del mondo del lavoro. Al di là del divario salariale, che rimane un vulnus mastodontico, ma visibile, ce ne sono altri insiti nella struttura stessa del modo di concepire questa vitale attività umana.

Mettiamo per un momento da parte la vulgata della donna votata a essere madre di famiglia, e proviamo a immaginare come avrebbe potuto essere strutturato l’orario di lavoro e il lavoro stesso se imprenditori, amministratori delegati e direttori generali uomini nei secoli passati avessero dovuto anche accudire a casa i figli o seguire genitori anziani. Se questa fosse stata da sempre una prassi per i lavoratori maschi, non pensate che uffici e fabbriche, tempi e modi del lavoro, sarebbero stati concepiti in maniera differente? A quel punto assecondare certe esigenze (oggi considerate proprie delle donne) non sarebbe stato un atto di buona volontà di questo o di quel capitano d’industria illuminato, ma una naturale prassi.

Nel presente, le donne si trovano a lavorare all’interno di un contesto lavorativo pensato per gli uomini, e se lo devono tenere. Ecco perché abbiamo una percentuale di donne lavoratrici di gran lunga inferiore a quella degli uomini; perché molte di loro sono costrette a lasciare il lavoro dopo aver avuto dei figli; altre non accettano promozioni che comporterebbero carichi maggiori perché hanno dei genitori anziani da seguire; altre ancora devono subire comportamenti discriminatori in base al genere. Ammettiamolo, ancora oggi persistono molti tabù che continuano a rimanere tali: un sistema nato in un contesto economico del passato non riesce a rinnovarsi per accogliere una diversità del presente, quella femminile, che ha prerogative e attitudini proprie. E in Italia questo è più vero che altrove

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