Ha dato materiale su cui riflettere il recente rapporto Almalaurea, il cui dato più evidente è che i giovani neolaureati sono diventati più selettivi che in passato rispetto alla scelta del primo posto di lavoro, dicendosi contrari ad accettare uno stipendio da 1.250 euro. Molti si dicono disposti ad andare all’estero piuttosto che lavorare a queste condizioni. Viene da chiedersi: questa botta di reni dei giovani laureati è da salutare come la recrudescenza di un rinnovato senso della dignità del lavoro e del lavoratore in un Paese in cui – al di là di ogni buonsenso – si continua a opporsi a una legge sul salario minimo? O è piuttosto il segno di una generazione che molto ha avuto dalle famiglie e ancor di più si aspetta e pretende dalla società e dalle aziende a cui mette a disposizione i propri servigi?
La risposta probabilmente sta nel mezzo, ovvero – a seconda dei singoli casi – un po’ l’una e l’altra condizione. Vero è che con un’inflazione che ha limato il livello dei salari medi già tra i più bassi d’Europa, pretendere che a sacrificarsi siano sempre e solo le persone, appare – oltre che ingiusto – anche antistorico (se si tira troppo la corda, alla fine si spezza). Ma è anche vero che la logica delle retribuzioni sembra seguire quella dei tagli all’interno delle imprese: da anni ormai molte aziende, quando devono far quadrare i bilanci, fanno economia tagliando il personale e tenendo calmierate le buste paga. Col risultato che i conti magari tornano (almeno nell’immediato), solo che gli organici si riducono all’osso e i dipendenti che rimangono sono sempre più scontenti, sia perché si sentono malpagati e perennemente in bilico, sia perché si ritrovano sovraccarichi di mansioni.
In un quadro siffatto pretendere di parlare di produttività media, che – come abbiamo scritto su Business People – è decisamente inferiore rispetto ad altri Paesi europei per non dire agli Stati Uniti, diventa un miraggio. Anche perché non sono molte le aziende che si sono strutturate e hanno investito per consolidare il proprio coefficiente produttivo: molte si accontentano di iniziative episodiche e a buon mercato, che agiscono sulla superficie anziché alla radice del problema. Dunque, che ben vengano le accresciute aspettative economiche dei giovani neolaureati: questo costringerà le imprese a selezionare meglio un personale che dovrà pagare mediamente di più. Nella speranza che ciò spinga a una seria riflessione sul reale valore (non solo economico) del lavoro, soprattutto ora che diverse funzioni rischiano di essere soppiantate dalle applicazioni dell’AI. Si spera che il no di questi giovani porga un argine al mito dell’efficienza a tutti i costi, e dia piuttosto slancio nuovo all’aspirazione allo sviluppo: il che – calcisticamente parlando – si traduce per le aziende nel giocare in attacco, smarcandosi dalle posizioni difensive.
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