Che mondo è quello in cui si crede di vivere in una società in evoluzione e si scopre invece di essere immersi in un lago in cui nuotano famelici coccodrilli? Pensavamo che Putin fosse solo un ex agente sovietico ravvedutosi, e invece… Abbiamo voluto credere che la Cina, con l’avvento di un’economia di mercato, potesse cedere margini alla liberalizzazione oltre che degli scambi anche del libero pensiero. Abbiamo voluto sperare che l’India fosse veramente la più grande democrazia del pianeta, che l’Africa uscita dal colonialismo potesse finalmente sciogliere i legacci con l’Occidente dominatore avviando un dialogo che la sottraesse dall’egida islamista e russa, e dalle fameliche fauci dei despoti locali; ci siamo illusi che certi Paesi arabi, dove tanti occidentali e non solo vanno a “svacanzare” o con cui le nostre diplomazie intessono cordiali rapporti, dismettessero il vizio di mandare in galera uomini e donne che pensano di poter vivere secondo coscienza; vogliamo parlare dell’Ungheria di Orban, della Turchia di Erdogan e del Sud America dei leader celoduristi, oltremodo allergici ai cardini più elementari della democrazia? E come dimenticarsi degli Usa in cui il candidato Donald Trump ha avuto l’ardire di dichiarare che, se dalle urne elettorali non dovesse uscire vincitore, non può escludere che si verifichi un secondo attacco al Campidoglio?
Siamo in un mondo alla rovescia. Mentre un tempo si aveva il “pudore” o l’ipocrisia di mostrarsi migliori di quanto si era, oggi si preferisce mostrare il peggio di sé per assecondare il consenso che separa dalla polarizzazione più estremista: è un ragionamento ispirato e dettato anche dal linguaggio imposto dai social, per cui i politici di media e bassa levatura si sono trasformati di fatto in influencer anziché in leader di pensiero, portatori insani di tanta tattica e zero strategia, per non dire dei contenuti. Sono gli stessi che fingono di non accorgersi che sul pianeta ormai si contano più autocrazie che democrazie. Non è un’opinione, ma un dato di fatto.
A dimostrarlo è anche uno studio della tedesca Fondazione Bertelsmann su 137 Paesi, da cui è stato escluso l’Occidente, ovvero Europa, Nord America e Australia. Ebbene, delle nazioni prese in esame 63 sono democrazie, ma ben 74 si sono rivelate autocrazie. Cresce il numero di quelle in cui le elezioni diventano sempre meno libere e giuste, dove i diritti di assemblea e associazione sono sempre più ridotti e la libertà di espressione è costretta a controlli sempre più stringenti se non sottoposta addirittura a censure. Invece, a guardare l’attuale dibattito, quel che non risulta essere chiaro è che, al netto delle guerre in atto, se l’Europa, e l’Occidente in generale, dovesse mollare come baluardo democratico, presto il mondo potrebbe avere problemi ben più seri del solo cambiamento climatico. Se l’Europa da subito non si porrà come una ancor più strenua paladina dei diritti senza se e senza ma, dove la democrazia, il pluralismo e il libero pensiero sono inappellabili in quanto dati di fatto insindacabili e indiscutibili, la deriva sarà inevitabile. Se i cittadini non impareranno a pretendere dagli eletti di essere migliori di quello che sono soliti essere al bar, e a dare di più e di meglio di quanto mediamente potrebbero fare, il futuro avrà problemi ben più gravi del presente.
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