Vi siete mai chiesti perché un medico debba (giustamente) prestare un giuramento – quello di Ippocrate – e un imprenditore piuttosto che un manager, no? Certo, il benessere delle persone e delle comunità è prioritario su tutto e su tutti (non a caso la saggezza popolare pone da sempre al primo posto la salute…), ma siamo sicuri che la responsabilità di un imprenditore o di un manager nei confronti del benessere delle persone e delle comunità sia inferiore rispetto a quella di un medico?
Lapalissianamente parlando, sono ruoli diversi, ma il fatto che agiscano su piani differenti non vuol dire che l’uno sia meno incisivo dell’altro. Nel senso che un imprenditore o un manager incapace (o disonesto) non è detto che faccia meno danni di un cattivo medico, che lascia morire il paziente per imperizia in sala operatoria o al pronto soccorso: è pensabile che i capi di un’azienda che inquina, oppure che non paga le tasse, di una che vende prodotti nocivi, o che considera i dipendenti delle cose, oppure di una che corrompe e fa male il proprio lavoro a un livello tale per cui i ponti crollano, i treni deragliano, le auto vanno fuori strada, gli aerei cadano, etc… abbiano responsabilità inferiori a quelle di un qualsiasi medico?
Diciamoci la verità, un’azienda – a volte anche quella che può sembrare a prima vista la più innocua – se messa nelle mani sbagliate, può fungere né più né meno che da arma. Puntabile pericolosamente contro un individuo, una categoria di persone, o un intero territorio. Perché allora non legare l’agire di chi la amministra a un contratto etico? Un contratto che vada oltre i codici di buona condotta che si danno da tempo le imprese, perché vincolerebbe di fatto – vita natural durante –, la condotta del singolo individuo, anche quando si trasferisca di società o di ruolo. Un contratto che impegnerebbe il professionista che lo sottoscrive, ma che ne elevi e riconosca definitivamente e moralmente anche l’indubbia funzione sociale: perché – hai voglia di parlarne – ma ci sono ancora politici, opinionisti e benpensanti che continuano a considerarli alla pari dei “padroni” di ottocentesca memoria. E continuano a farlo dimentichi del fatto che sono gli imprenditori e i manager, piccoli e grandi, insieme alle loro maestranze, a produrre la ricchezza di questo Paese, e che nulla hanno a che fare con quella finanza che specula su beni e servizi inesistenti, così come sugli uomini.
«E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto», concludeva Ippocrate nel suo testo, «sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato dagli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro». Quale miglior viatico e magistrale impegno?
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