«Se vuoi la pace, prepara la guerra» predica da tempo immemore una locuzione latina. Ma, a giudicare dalle catastrofiche ricadute che la guerra sta avendo sulle nostre vite quotidiane, verrebbe da dire che non solo non l’abbiamo preparata, ma addirittura non l’abbiamo neanche vista arrivare. Abbiamo preferito sempre voltarci dall’altro lato, con il risultato di aver mandato a puttane una fragile pace, e di dover subire più di una guerra non avvistata per tempo, quella in Ucraina così come in Palestina e in Siria (per citare solo i conflitti più vicini geograficamente al nostro Paese). Con buona pace della pace, verrebbe da sentenziare…
Una delle vittime evidenti di questi conflitti, oltre ai morti ammazzati e agli sfollati, nonché alle generazioni depredate del loro futuro, è la sostenibilità. Ovvero, gli sforzi che il mondo delle istituzioni e quello della produzione industriale stavano cercando di mettere insieme per muoversi verso una revisione di quei processi produttivi e di consumo che hanno contribuito all’enorme sconvolgimento degli equilibri ambientali, sociali ed economici del Pianeta. In tal senso si era espressa, ricorderemo tutti, con altisonante eloquenza anche l’Onu, fissando un traguardo temporale per il raggiungimento degli obiettivi, il 2030, che ovviamente non sarà coronato da successo. Anche perché a dover far rispettare la tabella di marcia avrebbe dovuto essere un’Organizzazione delle Nazioni Unite che, proprio in occasione dello scoppio di questi conflitti, ha dimostrato la sua inesistente capacità di deterrenza su chi sgarra dai confini dei regolamenti internazionali condivisi.
Così, c’è chi suona il de profundis sulle “velleità” che vorrebbero decisioni globali maggiormente votate alla conversione ecologica, e i miserrimi risultati raggiunti al recente Cop29 ne sono un plastico esempio. Vero è che Stati e aziende costretti a finanziare guerre, a imporre e sopportare embarghi commerciali, a rivedere al ribasso le proprie esportazioni, a subire bollette energetiche esorbitanti, a registrare la contrazione dei piani industriali e degli accordi commerciali, difficilmente avranno la testa per fare sì che tutto questo agire sia oltre che sopportabile politicamente ed economicamente, anche strategicamente sostenibile, ma chi pensa di poter mettere a tacere il tema della sostenibilità dimostra la sua insensata antistoricità. «Ubi major minor cessat», sostiene un’altra celeberrima locuzione latina, ma è anche vero che – stante la situazione – il nostro “major” ormai dovrebbe comportare e includere necessariamente una assoluta e imprescindibile attenzione anche alle tematiche legate alla sostenibilità. Se non altro per non peggiorare la situazione, già pesantemente compromessa.
La pace è un acceleratore della sostenibilità, così come la sostenibilità (che è rispetto delle cose come delle persone) può esserlo anche della pace. Se non c’è pace la creatività diventa ostaggio della paura, l’innovazione diventa figlia della necessità di difendersi non di una visione strategica del futuro, e gli investimenti seguono il bisogno, non l’aspirazione. Il senso del tutto è che bisogna impegnarsi a dare una mano alla pace che si spera verrà coltivando nel presente il più e il meglio possibile la sostenibilità, malgrado le guerre e a dispetto delle guerre.
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