Copiare (bene) non è peccato

Copiare (bene) non è peccato© Getty Images

Ci sono azioni la cui natura – positiva o negativa che sia – dipende dal contesto. Mi spiego… Se, ai miei tempi, a scuola qualcuno copiava dal compagno (oggi si scaricano le soluzioni ai quesiti del compito da internet) era giusto che venisse redarguito e punito. Mentre se invece gli Stati, così come le aziende, imparassero a copiare – bene – da chi di fatto fa meglio di loro in un contesto organizzativo, andrebbero premiati.

Sì, perché oggi la retorica che ruota vorticosamente intorno ai concetti di creatività e innovazione, spinge i politici – così come i manager – a volersi vantare di essere i primi e gli unici ad aver avuto una cosiddetta brillante idea o soluzione. Salvo poi scoprire che altri ne hanno avuto magari di meno sfolgoranti, ma di più efficaci, prima di loro. Mi chiedo: ma perché non si limitano a copiare invece di lambiccarsi il cervello alla ricerca di iniziative modeste, se non mediocri, quando hanno a disposizione fulgidi esempi che potrebbero limitarsi a duplicare?

Ovviamente il mio non è un invito a piratare i prodotti, ma a ispirarsi ai processi, a efficaci meccanismi organizzativi e creativi che portano alla fine a un prodotto o a un servizio di successo. Certo, per poter copiare bisogna conoscere, e conoscere vuol dire studiare, avere la curiosità di guardarsi intorno e approfondire. Che, in qualche modo, è lo spirito con cui è nato Business People: parlare di aziende e di manager per far conoscere ad altri manager e imprenditori le loro strategie a cui magari ispirarsi.

Allo stesso modo, politici con un bagaglio culturale ampio potrebbero diventare consapevoli che, se il servizio sanitario di un altro qualsivoglia Paese si prende meglio cura della salute dei propri cittadini spendendo più efficacemente le risorse a disposizione, sarebbe il caso di copiarlo. Semplicemente, “papale papale” direbbe qualcuno. Lo stesso dicasi per l’istruzione o i trasporti, le carceri o il patrimonio culturale. Se ne avessi il potere, invierei studiosi italiani in tutto il mondo imponendo loro di tornare entro un anno con le informazioni sulle eccellenze di ogni singolo Paese, per vedere come metterle in pratica al meglio nel e per il nostro. Questo perché sono convinto che la leadership sia una questione di umiltà e intelligenza, di ascolto, riflessione e poi di azione: se manca la curiosità verso l’altro, se non si è capaci di riconoscere il valore e l’esempio di chi ci ha preceduto e di chi ci sta accanto, non solo non si può essere dei buoni leader, ma dei leader tout court.

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