Ammetto che in un periodo in cui sempre più agli avversari si fanno indossare i panni dei nemici, io coltivo un sogno. A ispirarmelo sono le immagini di una grande nazione come gli Stati Uniti che rischia di perdere la bussola dell’equilibrio democratico, non parliamo di un Sud America perennemente alla mercé di leader megalomani, quando non corrotti e tiranneggianti, e di una Russia che da promettente grande partner dell’economie mondiali si è trasformata in una minaccia. Non parliamo poi di Oriente, lontano e medio. Mi dico però che si tratta di situazioni su cui l’Italia può influire relativamente, ma di certo può dire la sua in Europa.
Ebbene, mi chiedo perché di fronte a un Trump che promette (e immagino mantenga) di imporre dei dazi penalizzanti per i prodotti europei in generale e italiani in particolare (visto che la tipologia delle nostre esportazioni rischia di essere quella più compressa), l’Ue non abbia un soprassalto d’orgoglio, perché aspettiamo di subire decisioni che altri assumono altrove sul lavoro delle nostre imprese e sulle nostre economie. Se un Macron invita a prendere a cuore gli interessi degli europei così come Trump lo fa per quelli americani, ancor prima Mario Draghi avverte di incentivare in Europa l’innovazione tecnologica, visto che su questo settore il neopresidente Usa minaccia di premere l’acceleratore.
Mai quanto adesso le aziende hanno bisogno di governi nazionali stabili e di un’amministrazione europea autorevole
Mi chiedo perché non si pensi a rafforzare il pensiero di un’Europa che sia finalmente più unita e competitiva nella ricerca, che si muova all’unisono in materia industriale, un’Europa più dialogante a livello economico, che non si faccia prendere in ostaggio dagli estremismi e dai nazionalismi sul piano politico. Fuori dalle beghe dei cortili nazionali, gli europei dovrebbero sempre più imparare a pensare che esiste un sovrano interesse comune europeo, che va rivendicato e difeso con tenacia, anche a dispetto degli interessi di parte.
Questo è il mio sogno, da contrapporre all’incubo, prospettato già da alcuni osservatori, secondo cui ogni Paese finirà col sottoscrivere accordi bilaterali con gli Usa, perché questa sarebbe – ahimè! – l’ennesima, plastica dimostrazione della debolezza della Ue. Mai quanto adesso le aziende hanno bisogno di governi nazionali stabili e di un’amministrazione europea autorevole che, a Oriente come a Occidente o nel Sud del Mondo, possano sedersi ai tavoli di negoziazione facendosi forza, da una parte, della propria eccellenza industriale e, dall’altra, della loro lunga storia democratica.
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