Ci sono problemi che, se non risolti – o quanto meno, se non si tenta (seriamente) di risolverli – si ripropongono più di prima, peggio di prima. Quello dell’abnorme debito pubblico dell’Italia è palesemente uno di questi. Un debito pubblico, il nostro, che segnatamente agisce da sempre in termini emergenziali, per tappare le falle del momento, quindi del passato, anziché per costruire un’idea di futuro: ergo di sviluppo.
Vari organi istituzionali, nazionali e internazionali, sono tornati a parlarne nelle scorse settimane (è un refrain che ci insegue ormai da anni…), ma temo che la volontà e l’azione per porvi rimedio non si siano spostate di un solo millimetro. Il fatto è che non riusciamo neanche a stoppare l’esondazione del debito; abbozziamo, provando appena a coprire gli stellari interessi, senza speranza di appianare una escalation che lievita pericolosamente mese dopo mese. Questo perché fatichiamo a capire che, se non risolveremo da noi questo problema, nessuno verrà in casa nostra a dipanare la matassa. Men che meno l’Europa, dalla quale c’è sempre il solito furbo che spera fornisca una scappatoia, ovvero una qualche forma di indebitamento comune ripartito tra i vari Paesi dell’Unione; il che la dice lunga sulla nostra reale intenzione di prendere “il toro per le corna”.
Se non risolveremo da noi il problema del debito pubblico, nessuno verrà a farlo al posto nostro
Il problema di fatto è che l’Italia non solo spende troppo, più di quanto incassi attraverso le entrate fiscali, ma spende male. Lo abbiamo scritto più volte sulle pagine di Business People, la civiltà di un Paese si misura da come investe le tasse dei contribuenti, se per migliorare la qualità della vita dei cittadini, o se per abbindolare le pretese degli elettori; se si indebita per costruire un’idea di crescita o per far sopravvivere (spesso male) lo status quo. E il super bonus – ma non solo – in tal senso grida vendetta agli occhi di qualsiasi buonsenso politico ed economico. Al che mi viene da concludere che, a guardare l’andamento del nostro debito pubblico, l’Italia è – non da adesso – un Paese moderatamente civile, con una scarsa percezione del presente e una dubbia propensione a saper costruire il futuro.
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