Contenti come se avessero vinto la lotteria. I responsabili delle case automobilistiche hanno scorso i dati delle vendite di marzo trovando numeri come questi: nell’Unione Europea +10,6%, nell’Eurozona +13,2% e in Italia addirittura +15,1%. In aprile, poi, il botto sotto forma del 28% di crescita rispetto al 2014 delle vendite ai privati. L’inversione di tendenza è evidente, gli entusiasmi sono giustificati, ma è davvero arrivata la svolta che i costruttori di automobili aspettavano da molti, troppi anni? «Istintivamente direi di sì, ma è ancora troppo presto per trarre conclusioni», dice Massimo Nordio, presidente Gruppo Volkswagen. «Con aprile anch’esso positivo, a due cifre, però, potrebbe innescarsi un trend…». Analizzando i dati in profondità si scopre che a fare da apripista alla crescita del settore è stato il noleggio a lungo termine, che ha fatto segnare un +5,3% del giro d’affari e un ben più rotondo incremento del 22% delle immatricolazioni, anche se ancora non si è visto l’effetto Expo.I privati, insomma, nicchiano ancora e per molti concessionari le giornate sono ancora sonnacchiose in attesa di clienti che tardano ad arrivare. «La crescita a doppia cifra è stata sostenuta soprattutto da un grande sforzo promozionale e commerciale delle case», sottolinea Angelo Simone, direttore del marchio Citroën/Ds Italia, «ma questa situazione non sarà sostenibile nel medio e nel lungo periodo. Per rendere strutturale la ripresa, quindi, ci vogliono interventi che, per esempio, favoriscano il rinnovo del parco circolante in Italia, che messo a confronto con quello di altri Paesi europei risulta particolarmente anziano».
DAGLI INCENTIVI ALLE DETRAZIONIL’Unrae (Unione nazionale rappresentanti veicoli esteri), di cui Massimo Nordio è presidente, è andata anche oltre e ha proposto una detrazione fiscale del 10% del costo di acquisto di una vettura nuova fino a un limite di 2 mila euro in quattro anni. Le premesse, però, dicono che sperarci è lecito ma crederci è tutta un’altra cosa. «Abbiamo cominciato a parlarne con il governo Letta e, in particolare, con Flavio Zanonato e Stefano Fassina. Poi abbiamo sottoposto la questione all’ex ministro Maurizio Lupi e al sottosegretario Luca Lotti, che si è mostrato molto attento», riassume il manager, «e ora aspettiamo di avere udienza da Matteo Renzi…». Insomma: ci vorrà pazienza. Ma la logica, secondo gli addetti ai lavori, porta in quella direzione. «Perché esiste un sistema di detrazioni per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa e non ne abbiamo uno riservato all’auto, che è ancora il principale strumento di mobilità delle famiglie italiane?», si chiede Domenico Chianese, presidente e amministratore delegato di Ford Italia. Gli fa eco, rilanciando, Marco Santucci, direttore generale di Jaguar Land Rover Italia. «Ci vorrebbe un pacchetto di riforme che comprenda, tra l’altro, l’abolizione del superbollo e una detraibilità delle auto aziendali in linea con gli altri Paesi europei», dice. E da casa Citroën si aggiunge alla ricetta un pizzico di verde: «Ringiovanire il parco circolante significa anche ridurre le emissioni e aumentare gli standard di sicurezza», dice Angelo Simone, «per non parlare dell’impatto sull’occupazione, che nel comparto automotive ha registrato negli ultimi anni un’emorragia preoccupante sia per le case costruttrici sia per le reti dei concessionari». E gli incentivi alla rottamazione considerati per anni il più ricostituente dei brodini? «Non sono adeguati al mercato di oggi», taglia corto Simone, «che ha bisogno di interventi che abbiano un orizzonte di medio e lungo periodo». Una tesi che trova perfettamente d’accordo il presidente di Ford Italia. «Più che al risparmio al momento dell’acquisto, bisognerebbe pensare a modelli che aiutino l’automobilista a tenere sotto controllo i costi collegati al possesso e all’utilizzo dell’auto, come quelli per bollo, carburante, assicurazione e tasse accessorie», dice Chianese. Che trova però in disaccordo Santucci, che argomenta: «A giudicare dal risultato ottenuto in altri Paesi, per esempio in Spagna, sembrerebbero poter avere ancora un connotato positivo. Se pensati come detrazione e non come incentivo a esaurimento, che anticipa solo l’acquisto, possono avere un effetto virtuoso…».
IDENTIKIT DI UN SUCCESSO Tutti d’accordo, invece, sul fatto che il più formidabile incentivo all’acquisto sono modelli davvero all’altezza dei tempi e tecnologicamente all’avanguardia, dato che una macchina sbagliata puoi incentivarla quanto vuoi, magari anche quasi regalarla, ma sarà sempre destinata all’insuccesso. Ma, allora, qual è l’identikit di un’auto di successo in questo travagliato 2015? Lapidario il ritratto tratteggiato da Nordio: «Deve essere affidabile, sicura, confortevole, connessa e rispettosa dell’ambiente». Una sorta di invito al gruppo Volkswagen e a tutte le concorrenti a sfornare novità a un ritmo scoppiettante per cavalcare le continue evoluzioni della tecnologia applicata alle quattro ruote. Questa corsa evolutiva ha però come effetto collaterale il fatto che nel giro di un anno o due ci si ritrova a guidare una vettura di fatto vecchia e che sul mercato dell’usato perde valore. «Per noi di Jaguar Land Rover l’equilibrio ideale tra rinnovamento della gamma e salvaguardia del valore del bene-auto prevede un facelift ogni quattro anni e un modello nuovo di zecca ogni sette-otto», spiega Marco Santucci, in sintonia con Chianese, che aggiunge: «l’importante per restare competitivi sul mercato è fare in modo che l’auto, una volta terminato il suo primo ciclo di vita, abbia ancora un contenuto tecnologico appetibile. Le Focus di tre anni fa, per esempio, avevano già la frenata automatica alle basse velocità, il controllo dell’attenzione del guidatore e il sistema parcheggio semiautomatico…».
UN SETTORE IN EVOLUZIONE I costruttori, dunque, sono certi di aver fatto e di continuare a fare la loro parte. Il dente che duole su cui batte la lingua degli intervistati da Business People continua a essere il contesto in cui operano. Sentite i numeri snocciolati dal presidente di Ford Italia: «Il settore dell’auto vale, punto più punto meno, l’8% del pil. Le istituzioni fanno abbastanza per sostenerlo? Per rispondere a questa domanda, basta confrontare quell’8%, dato del 2014, con il 12% del 2008. Un calo drastico avvenuto principalmente per effetto della contrazione delle aziende, dell’occupazione e del fatturato di tutta la filiera. Il comparto automotive è stato uno di quelli che hanno sofferto maggiormente la crisi e non vi è stato alcun intervento per evitare, rallentare o fermare questo crollo, a parte incentivi puramente simbolici». In effetti, secondo gli studi di settore, il gettito fiscale generato dal comparto automotive rappresenta circa il 17% di quello complessivo, ma il ritorno in termini di servizi (sicurezza, infrastrutture, manutenzione delle strade) vale solo il 10-15% di quanto incassato dallo Stato. Già, ma adesso è arrivata l’Expo, sarà la panecea anche per tutti i mali del mercato dell’auto? «È un grande evento internazionale che spero porterà positività anche agli italiani e se si guardano gli indici di fiducia si scopre che i dati sono molto alti. Per adesso, però, l’Expo è ancora come un aereo, un bell’aereo in pista di rullaggio…», argomenta Nordio. In attesa di dati concreti, l’Expo un effetto lo sta avendo da subito: contribuire in modo determinante al consolidamento del car sharing, che a oggi conta 487 mila iscritti e oltre 5 milioni di noleggi. La mobilità italiana non starà imboccando nuove strade che divergono dalla logica delle vendite? La matematica dell’uomo della strada dice che ciascuno di quei quasi 500 mila è un cliente in meno per le case automobilistiche, un’emorragia che di questi tempi dovrebbe far paura…
CAR SHARING: RISCHIO OD OPPORTUNITÀ?Non a Domenico Chianese, che sostiene: «Oggi il car sharing non può essere considerato un’alternativa all’auto di proprietà, soprattutto perché ha un costo chilometrico elevato, che lo rende impraticabile per l’automobilista che desideri utilizzare esclusivamente questo mezzo, anche se la sua percorrenza annua è relativamente bassa, cioè compresa tra i 5 mila e i 10 mila chilometri l’anno. Il danno, quindi, più che sulle nostre spalle cade su quelle dei tassisti». Più pragmatico Nordio, che sembra rassegnato a convivere con il fenomeno e afferma: «Considero il car sharing un’opportunità. Sostenere il contrario sarebbe come dire che se aumentano i taxi diminuiscono le vendite di automobili. Soprattutto, però, penso a un modello innovativo e propositivo che, per esempio, possa consentire a uno che va in vacanza a Rimini di provare quella cabrio che non entrerebbe mai nel garage di famiglia…».Archiviate (con qualche palpitazione) le vetture che si trovano con lo smartphone, quali sono le autostrade del marketing da percorrere per vitaminizzare l’acquisto di nuove auto da parte dei privati? Marco Santucci non nasconde i piani ambiziosi di Jaguar Land Rover e dice: «Vogliamo crescere, nell’anno fiscale aprile 2015-marzo 2016, di un ulteriore 30%. Per farlo, puntiamo su motorizzazioni all’avanguardia e rifiniture curate, che rendono le nostre vetture uniche nei rispettivi segmenti e sempre emozionanti da guidare. La vera novità sarà la Jaguar Xe, che arriverà in questo mese e sarà un prodotto unico nella categoria delle berline medie. Ma la riuscita dei piani sarà possibile grazie alla nostra rete, fatta di imprenditori solidi, preparati e appassionati…».
SOTTO I RIFLETTORI In effetti, le inchieste dei giornali e dei siti specializzati dimostrano che spesso è proprio la rete di vendita il punto debole delle case automobilistiche, a causa di personale impreparato e non al passo con i tempi. Lo conferma Massimo Nordio: «Il mondo è cambiato ed è fondamentale che il personale di vendita sia in grado di soddisfare tutti gli interrogativi dei potenziali clienti, da quelli tecnologici a quelli finanziari. Con la diffusione di Internet e dei social network le persone quando arrivano in concessionaria sanno già quasi tutto. Il confine tra una vendita riuscita e una fallita può essere una domanda che non trova risposta». E di quesiti ne arriveranno tanti se le case continueranno a sviluppare innovazione. Non solo sul piano di design, motori e accessori più o meno di serie, ma anche delle formule di vendita. Quelle che oggi vanno per la maggiore, anche perché legano praticamente a vita un cliente a un marchio, sono quelle che prevedono il pagamento di una rata mensile e, alla fine del secondo o del terzo anno, la decisione se tenere o restituire l’auto. Si privilegia, insomma, il possesso rispetto alla proprietà. Che, poi, è esattamente quello che succede con le flotte aziendali che, non a caso, hanno tenuto nel mare in tempesta degli scorsi anni. E la pubblicità? Conta, naturalmente, ma meno di una volta. Per fare centro si deve azzeccare il messaggio, non basta affollare le trasmissioni delle Tv generalista, tanto le gente manda gli spot a velocità +30 con i decoder. Resta un vago effetto subliminale, è vero, ma per imbroccare un cult come quello della Visa diesel degli anni ‘80, sì proprio quella del Vavavuma, oggi non basta un’idea, ci vuole anche un prodotto veramente valido. «Basta fare un giro sulla Rete e si trovano forum in cui vengono magnificate le doti del nostro motore 1.0 Ecoboost a tre cilindri, che ha vinto per la terza volta consecutiva il premio di propulsore dell’anno all’Engine Expo di Stoccarda», dice Chianese. Nel mercato versione 2.0, insomma, niente è più come prima. «La crisi degli anni passati è stata come un’epidemia e ha lasciato sul campo morti e feriti», conclude Nordio. «Adesso comincia il processo di ricostruzione». Un’occasione da cogliere al volo, magari con l’aiuto di qualche saggio provvedimento del governo…
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