Capo mi si è ristretta l’auto

Più piccole, meno costose e “verdi”. Così cambiano le flotte aziendali in tempo di crisi. Alla Cremonini hanno sostituito le tedesche con le Croma. Passera, Profumo e Geronzi usano discrete Mercedes, Audi e Lancia, e perfino Patrizio Bertelli si è convertito a una Fiat. Ecco come cambiano le scelte dei manager per le flotte aziendali. Mentre gli operatori lanciano la proposta di una Tremonti Ter per le quattroruote

La macchina del capo? Sempre meno esibizionista. In tempi di crisi, sono pochi i manager o gli imprenditori che si presentano in azienda con la Porsche 911 o con la Ferrari, come hanno fatto in passato Gianluca Rana e Riccardo Ruggiero, l’ex amministratore delegato di Telecom. Oppure con l’Audi S8 Avant, una delle supercar preferite da Enrico “Chicco” Catelli, figlio del fondatore della Chicco Artsana. Meglio di Bentley Continental e Porsche Cayenne, di Bmw X6 e Maybach, nell’anno della crisi orribile dell’economia, sono le ammiraglie low profile ad avere più successo tra i mega-dirigenti. L’ostentazione non è più di moda. Un esempio? I 25 manager della Cremonini, i signori della carne che riforniscono l’intera rete di McDonald’s Italia, hanno sostituito le Audi in dotazione con le meno dispendiose Fiat Croma. Unica eccezione rimane la Maserati Quattroporte, uno dei simboli del Made in Italy, usata, rigorosamente con autista, dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi, in alternativa alla sua Audi A8 personale; da Emma Marcegaglia e da un buon numero di amministratori delegati e ceo di aziende italiane. Invece i banchieri Corrado Passera, Alessandro Profumo e Cesare Geronzi, gente che bada al sodo, per i viaggi di lavoro impiegano discrete Mercedes Classe E, Audi A6 e Lancia Thesis. Umberto Veronesi, per recarsi al suo Centro diagnostico europeo, adopera una Jaguar XJ del 2003 e Patrizio Bertelli, il marito di Miuccia Prada, amministratore delegato dell’azienda di famiglia, per gli spostamenti di lavoro usa una Fiat Croma da 200 cv.

MAGGIORE CONCRETEZZA

Le aziende nel 2009 sono più concrete: rinunciano allo status symbol e affidano ai manager mezzi di trasporto in perfetto stile anticrisi. Le piccole, medie e grandi imprese italiane non riducono o azzerano soltanto i bonus e i premi ai dirigenti. Nel mirino ora sono entrati anche i parchi auto aziendali. Del resto, le cifre parlano chiaro: se le flotte, secondo uno studio Databank, costituiscono in media il 46% dell’intero mercato europeo, l’Italia è il fanalino di coda con il 26%. Un risultato che è causato anche dal sistema fiscale attualmente vigente sul noleggio a lungo termine, nel nostro Paese molto più penalizzante che nel resto del continente. Il diritto a detrarre l’Iva di ciascuna vettura è, infatti, limitato al 40%: ben poca cosa ri spetto alla quota ammortizzabile al 100% che viene riconosciuta per esempio in Germania, Francia e Spagna. Numeri che hanno spinto diverse aziende italiane a restringere il parco auto aziendale, decurtare il budget per gli optional a bordo, ridiscutere gli accordi di leasing o addirittura limitare il numero di colletti bianchi a cui la vettura spetta per beneficio di contratto. «Le difficoltà economiche» spiega Jaromír Hájek, amministratore delegato LeasePlan Italia, azienda attiva nel settore del noleggio a lungo termine e nella gestione di flotte aziendali «sembrano imporre modelli di consumo più parchi e più rispettosi dell’ambiente».Il primo effetto è quindi il downsizing, cioè la tendenza ad acquistare nuove auto di classe inferiore rispetto a quelle possedute in precedenza. Tendenza che era comunque in atto già nel 2008. Da una ricerca di LeasePlan Italia emerge in effetti che negli acquisti delle società di noleggio a lungo termine, circa il 90% è costituito da vetture con cilindrata compresa tra i 1000 e 2000 cc. All’interno di questa classe, però, nel 2007 le auto da 1000 a 1500 cc erano il 32%, laddove nel 2008 sono state il 45%. H3g Italia (la “3” della telefonia mobile), che per le alte cariche aziendali ha fino a ieri utilizzato ammiraglie Bmw e Audi, limitando gli optional ai sistemi di sicurezza, ha da poco rivisto la policy interna, puntando tutto sul contenimento dei costi, sull’allungamento della durata dei contratti, sul rispetto per l’ambiente. Stessa scelta alle Ferrovie dello Stato: le auto di servizio sono state ridotte a sei per un ristrettissimo numero di dirigenti e l’amministratore delegato Mauro Moretti ha deciso di trasformare l’autorimessa in una nuova mensa. Un robusto giro di vite anche in Intesa Sanpaolo. L’integrazione tra i due istituti ha comportato una riduzione del 25% del parco auto. Risultato: minor consumi (centinaia di migliaia di litri di gasolio e benzina risparmiati) e minori emissioni (si calcola in oltre 700 mila le tonnellate di anidride carbonica in meno disperse nell’atmosfera). Inoltre, lo staff che decide sulle company car ha avviato un piano che prevede l’introduzione a breve termine di vetture ibride. Una soluzione che vede tra i pionieri la GlaxoSmithKline Italia (Gsk). Roberto Di Francescantonio, sourcing group manager del gruppo, rivendica non solo il fatto che la società sia stata «fra i precursori nella scelta della formula del noleggio a lungo termine», ma anche che «a partire dal 2002, abbiamo allungato la durata dei contratti da 36 a 48 mesi». E in quei 12 mesi di differenza c’è la prima chiave di volta di un comportamento virtuoso: con le vetture di oggi, cambiare macchina ogni tre anni è un lusso non solo inutile, ma anche costoso, se si considera che l’affidabilità e, dunque, i costi di manutenzione non cambiano in modo significativo per veicoli di tre o di quattro anni di anzianità di servizio. Il partner che ha mostrato la maggiore flessibilità e, dati alla mano, le migliori compatibilità economiche e ambientali è stato il Gruppo Volkswagen. «Per quanto riguarda la Ris, la Rete di informazione scientifica, ovvero la nostra forza vendite, la flotta oggi è composta per quasi il 50% da Passat Station Wagon, seguite dalle Golf in varie versioni, dalle monovolume Touran e da uno sparuto gruppetto di Polo» contabilizza Di Francescantonio «mentre tra le vetture a disposizione dei manager ci sono anche molte Audi. Le motorizzazioni sono quasi esclusivamente Diesel».

LE VALUTAZIONI

Ma come? Il vecchio gasolio? E i carburanti alternativi? E gli ibridi a quattro ruote? Di Francescantonio sgombra il campo da ogni equivoco: «Alla base delle nostre scelte» sottolinea «ci sono studi molto seri. Le vetture a trazione ibrida attualmente disponibili sul mercato italiano, per esempio, hanno motori elettrici che coadiuvano i propulsori a benzina e, di conseguenza, alla fine, considerato anche il differenziale di prezzo tra i carburanti, hanno un rapporto chilometri/emissioni simile a quello delle moderne Diesel, ma costano di più anche in termini di energia necessaria alla loro produzione in fabbrica. Per quanto riguarda il metano, la sua palla al piede resta la rete di distribuzione che, soprattutto nelle regioni del Centro e del Sud, non è all’altezza. Infine il Gpl: le vetture che marciano con questa alimentazione hanno un consumo specifico del 20% superiore rispetto ai corrispondenti modelli a gasolio».Oggi, dunque, non solo le aziende comprano meno auto, «ma quando decidono di acquistarle puntano su modelli più piccoli e meno costosi» affermano alla Leasys secondo la quale «non stupisce che in questo momento, nel settore del noleggio a lungo termine, nei primi sei mesi dell’anno, sia stata la Fiat Panda l’auto più immatricolata in Italia». Praticità d’uso, bassi consumi, buona abitabilità e capienza del bagagliaio. Queste probabilmente le ragioni del primato. La piazza d’onore spetta invece all’affidabile Fiat Punto, mentre il podio è completato dalla Audi A4. La situazione potrebbe però cambiare, anche nel breve termine, con l’intervento del governo. Se gli incentivi in vigore non stanno dando nessun impulso alle auto aziendali, diverso è il discorso per quanto riguarda i veicoli commerciali. L’Associazione nazionale delle industrie automobilistiche chiede da tempo e con insistenza una Tremonti Ter, cioè un provvedimento che agevoli sul piano fiscale il trattamento degli utili reinvestiti dagli operatori economici per l’acquisto di beni di investimento. La prima Tremonti e la Tremonti Bis del 2001 diedero ottimi risultati. Perché dunque non adottare questa ricetta anche oggi? Se ciò dovesse avvenire, l’agevolazione riguarderebbe tutte le fonti di investimento, vetture aziendali comprese.

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