L’astro nascente del vino italiano, il riscatto bianco del Sud, un enigma per chi lo coltiva (e spesso anche per chi lo degusta) e una storia che pesca a piene mani nel mito dell’antica Roma: il Fiano di Avellino ha davvero tutto per stregare il palato di chi provi ad addentrarsi nei meandri del suo gusto unico e inconfondibile. Complici anche due grandi annate, andate in bottiglia negli ultimi mesi, è certamente il vino su cui sapere di più in questa estate.
Un tempo il Fiano stupiva il pubblico per una certa tendenza ad assomigliare in alcune note aromatiche al principe dei vini bianchi, ovvero il Riesling, il cui profilo legato alla pietra focaia e all’affumicatura, con cenni di idrocarburo caratteristici appaiono in effetti talvolta nel corso dell’evoluzione anche nel Fiano. Oggi, per fortuna, si è smesso di cercare paragoni scomodi e paralleli difficili per concentrarsi sulla sua unicità, legata al suo passato e al particolarissimo terroir. La storia del Fiano di Avellino comincia probabilmente a Lapio, ai tempi dei Romani, e arriva oggi a una Docg molto estesa, capace di produrre circa 3 milioni di bottiglie, su un’area meno vitata e produttiva rispetto, ad esempio, al vicino irpino Greco di Tufo. Il terreno dove cresce meglio è principalmente argilloso, riequilibra il fabbisogno idrico per un vitigno privo di alta acidità in assoluto (che invece contraddistingue il Riesling), ma considerevole per il Sud Italia. Il Fiano è un vino dotato di alta componente tiolica, che garantisce un’evoluzione interessante nel tempo con erbe aromatiche e note fumé di idrocarburi, ma anche da giovane ha una gamma aromatica molto elegante. Pierpaolo Sirch, enologo presso Feudi di San Gregorio, ama dire che il Fiano è un’uva tremenda, che non ha paura di nulla, in quanto ha una pianta molto solida e strutturata nella forza in vigna, è adatta al biologico, e necessita di pochi interventi. È certamente la grande uva bianca del Sud. A confronto con il Greco di Tufo, nasce con acidità meno elevata, ma evolve molto più lentamente, inizia il suo percorso con notevole morbidezza ed equilibrio che rimane stabile per anni, mentre acquista profumi e aromaticità particolari senza calare di freschezza, se non nel lunghissimo periodo. Ricordiamoci sempre che l’Irpinia ha piovosità media superiore al Friuli Venezia Giulia, 1.200 mm di pioggia l’anno, e il Fiano ha maturazione tardiva: questo complica molto le cose in vigna e in cantina, ma garantisce una spettacolare varietà di espressioni, a seconda del territorio di origine e del manico del viticoltore. Uno dei più grandi esperti italiani, Alessio Pietrobattista della guida Vini d’Italia de l’Espresso, individua l’unicità di questa uva nel suo equilibrio naturale tra componenti acide, grasse e dolci, e la capacità di mettere in evidenza le peculiarità delle zone dove nasce.
Impossibile non iniziare il viaggio da Feudi di San Gregorio, azienda grandissima e conosciuta, che ha messo il Fiano al centro del proprio progetto di evoluzione. Memorabile ogni anno il Pietracalda, un Fiano di altitudine molto caratteristico con profumi di fieno e sale, frutto contenuto, ginestra, erba aromatica, camomilla, macchia mediterranea con al palato nota acida, rotondità e morbidezze ben presenti. Da seguire anche il progetto Feudi Studi, prodotto invece a Lapio (zona Nord Est, quella primigenia), che è floreale, quasi fiore appassito, sapidità umida tipica di zona, fine e di acqua piovana e resine, zenzero e agrume, con una freschezza complessiva buona, ma meno acidità dovuta alla grande ricchezza al palato. A Lapio troviamo anche Clelia Romano e Rocca del Principe con Ercole Zarrella, le sue vigne in Contrada Arianiello e dintorni sono da considerarsi il Grand Cru del Fiano di Avellino. Sempre a Lapio si trova Fonzone, un’azienda giovane che ha già fatto molto parlare di sé, il cui vino da un vigneto posto a 600 metri in Contrada Arianiello, si fa notare per delicatezza e raffinatezza dei sentori di erbe aromatiche e mediterranee che sfociano in un palato suadente ma sempre vibrante.
Nella zona Nord, più fredda, incontriamo Guido Marsella a Summonte. A quasi 700 m di altitudine, il suo Fiano ha traccia affumicata già presente, floreale e frutto carnoso, ma odore lieve di cenere di sigaretta; la bocca è stupenda, dolce ma croccante, con zafferano e miele che arricchiscono l’esperienza, comunque bellissima. È di Summonte anche il Fiano di Avellino 906 di Ciro Picariello, un vino massiccio e ricco che, a differenza del Fiano classico di Picariello (che proviene da Summonte e Montefredane), nasce tutto da questa zona, famosa per la sua rusticità. In realtà questo nettare si rivela bello, integro e rotondo, con nota fumé accennata, in bocca ha traccia alcolica molto presente. Impossibile non citare poi Vadiaperti, perché rappresenta la tradizione di Montefredane, la prima cantina che ha iniziato a lavorare sul singolo Cru, grazie al “professore” Antonio Troisi. Stessa provenienza per i vini di Villa Diamante, con lo scomparso Antoine Gaita che finora ha probabilmente prodotto i migliori Fiano della storia, quelli della Vigna della Congregazione. A Vadiaperti troviamo anche Sabino Loffredo e la sua Pietracupa, con un vino che sa di senape, pepe e ginestra, frutta accennata, ma acidità che salta fuori dal bicchiere, bocca freschissima e saporita, con bello slancio e intensità. In zone storicamente minori, ma che non lo saranno in futuro, va segnalata la Cantina del Barone di Luigi Sarno, considerato una delle voci più originali in zona, riuscito nell’impresa di valorizzare il comune di Cesinali, dove lavora anche Rosanna Petrozziello de I Favati, che ha avuto un grande exploit con i Tre bicchieri per il suo Fiano di Avellino Pietramara 2015.
Chiudiamo con due big molto diversi, ovvero Mastroberardino, che salvò il Fiano e l’ha reso quello che è oggi, e la lucida follia di Raffaele Pagano, che nella sua cantina Joaquin produce l’ormai famoso Vino della Stella, un nettare che mostra classe e forza con note di mango, miele, ginger, albicocca, menta e fior d’arancio. C’è struttura e sapidità, mediterraneo e vulcanico. Ma produce anche l’archeologico Fiano sperimentale JQN Piante a Lapìo 2011 Igt da una serie di vecchie vigne attorno a Lapio: naso di zolfino e pepe, squillante e incisivo entusiasmante; bocca meno espressiva, ma con nocciole, agrumi e salsedine. Un vino tumultuoso e in fieri, tremendamente affascinante come tutta questa zona da scoprire il prima possibile.
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