Google vince sugli autori: la lunga battaglia legale cominciata dalla Authors Guild, l’associazione degli scrittori americani, si è conclusa nella Corte Suprema americana, che ha dato ragione a Big G. D’ora in poi, dunque, Mountain View sarà libera di continuare la sua opera di digitalizzazione dei testi messi a disposizione sulla piattaforma Google Books.
IL CASO. Dodici anni fa, Google aveva cominciato la sua collaborazione con numerose biblioteche per mettere a disposizione in Rete le copie digitali del patrimonio librario da esse conservato. Tale iniziativa aveva però messo in agitazione autori ed editori, che vi vedevano un pericolo per il diritti sulle opere: nel 2005, dunque, la Authors Guild aveva denunciato Google, e tale circostanza aveva scatenato un lungo processo conclusosi nel 2013 con la vittoria di Big G. Peccato che la sentenza, che sottolineava l’interesse pubblico di Google Books, in quanto promotore delle arti e delle scienze (senza danneggiare il copyright e gli interessi degli autori), non soddisfò la Authors Guild, che andò in appello; appello vinto di nuovo da Google. Agli scrittori non restò che portare il caso di fronte alla Corte Suprema Usa mediante una petizione: la Corte, però, ha deciso di non rivedere la sentenza, sancendo definitivamente la legittimità della piattaforma.
DIRITTO ALLA CULTURA. Dunque, la digitalizzazione delle opere cartacee promossa da Google è perfettamente legale. Anzi, si è molto sottolineato la natura di “fair use” di Books, che nel segno del diritto alla conoscenza mette la cultura a disposizione di tutti, provvedendo anche a indicizzare i testi e analizzarne i dati facendo opera di “text mining”. Il tutto senza guadagnare in pubblicità (che non è presente in Google Books) e rispettando il copyright, poiché sono autori ed editori a decidere quanto mettere a disposizione sulla piattaforma. Un’iniziativa lodevole, dunque; che resterà tale almeno finché si manterrà nei limiti dell’uso etico e nel principio della diffusione della cultura: non è bene dimenticarsi, infatti, della natura di multinazionale di Google, e dei possibili risvolti in termini di controllo sul patrimonio culturale che il bacino di risorse raccolte mediante la digitalizzazione potrebbe significare.
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