Domenico Stile, classe ‘89, è uno dei più giovani chef due stelle Michelin in Italia. Nato a Gragnano (Na), ha formato il suo stile unico attraverso esperienze accanto a maestri come Antonino Cannavacciuolo, Enrico Crippa, Nino Di Costanzo e Massimo Bottura in Italia, fino ad Alinea di Grant Achatz a Chicago. Dal 2016 guida la cucina di Enoteca La Torre a Villa Laetitia di Roma, dove nel 2022 ha conquistato la seconda stella Michelin.
La sua è una cucina mediterranea concreta, che affonda le radici nella tradizione partenopea, pur mostrando influenze internazionali acquisite nel suo percorso. E il ristorante è solo uno dei locali firmati Enoteca la Torre che supervisiona: il gruppo comprende un bistrot all’ultimo piano de La Rinascente, un all day long a Prati con sushi e ispirazioni brasiliane e il bellissimo lounge bar ristorante sulla spiaggia a Capalbio, La Dogana Terre di Sacra.
Nei suoi piatti come bilancia l’influenza della sua origine campana con le altre ispirazioni?
Non nascondo mai le mie origini e anche se utilizzo prodotti, spezie ed erbe provenienti da contesti stranieri, li porto sempre su preparazioni e modelli classici della mia storia personale. L’importante è che ne risulti un piatto di gusto e di stile mediterraneo, che abbia solo alcune sfumature che non appartengono alla nostra tradizione.
Villa Laetitia è un locale classicamente elegante che può irrigidire l’ospite, come mantiene l’equilibrio tra innovazione e coerenza?
Ci piace dare l’idea di essere un locale elegante e formale, ma solo a primo impatto. I ragazzi di sala sono precisi ma amichevoli, empatici e capaci di venire incontro alle esigenze del cliente. La mia cucina a Villa Letizia si è trovata benissimo, perché mi piace che sia di ricerca e di tecnica, ma allo stesso tempo desidero che sia riconoscibile immediatamente cosa c’è nel piatto.
Nel carosello dei pani utilizza fino a dieci farine diverse di grani antichi con lievito madre. Perché questa scelta?
Un grande ristorante oggi non può servire pane mediocre. Le diverse farine fanno parte di un mio personale progetto di ricerca per ottenerne uno non troppo saporito, ma nemmeno banale; che sia un equilibrato comprimario del pasto e si possa apprezzare con olio e burro, senza diventare troppo protagonista e, soprattutto, che non sia troppo acido per non influenzare la percezione dei vini e degli altri ingredienti.
La sua anatra marinata prevede un processo molto specifico di maturazione. Come è arrivato a sviluppare questa tecnica?
Ci sono voluti molto tempo e altrettante prove. Abbiamo applicato un mix di due tecniche, quella della marinatura e quella dell’affinamento tipica dei salumi, per ottenere una maturazione non esasperata e la consistenza di un salume, benché non asciutto come un prosciutto. Le ricette hanno tutte bisogno di tempo e a poco servono i tentativi di velocizzazione di alcuni processi, impossibili anche con le tecniche più moderne.
Quanto è importante per lei la filosofia del no waste in cucina?
Ci troviamo in molte delle sue istanze. Per esempio, i resti di sedano, carote e cipolle vengono usati per il brodo, oppure friggiamo le bucce del topinambur per trasformarle in sfiziosi snack. In altri casi, voler usare tutto di un ortaggio in un menu che costa centinaia di euro ci pare esagerato, oltre che una forzatura per il cliente, che non merita prodotti di scarto proposti al prezzo di un filetto: l’alta cucina ha alcune regole in fatto di eccellenza che non si possono aggirare.
È difficile rimanere indifferenti alla vostra kermesse di dolci…
È merito della mia grande pasticcera Veronica Cassone, che non ha vita facile con me che nasco come cuoco di pasticceria: quando non litighiamo (ride) i risultati sono particolarmente efficaci. Spesso il dolce viene ricordato alla pari di un inizio scoppiettante e a volte è persino più importante, perché è l’ultima pietanza che arriva a tavola e quella che ha maggiori possibilità di essere ricordata. Certo, oggi bisogna lavorare riducendo gli zuccheri, ma senza trasformare il dessert in un’altra portata salata. Un equilibrio difficile cui aneliamo costantemente!
Con una cantina premiata e un grande professionista come Rudy Travagli, come lavorate per creare un’esperienza completa?
Oltre a Rudy abbiamo la fortuna di avere personale che è con noi da nove anni, il che crea affiatamento e capacità di elaborare abbinamenti in maniera naturale. Al momento dell’assaggio spesso scatta molto velocemente un’idea, che viene subito provata con la cucina.