Dove ha tratto ispirazione per questo romanzo? Da un momento che ho vissuto con mia figlia quando aveva tre anni: passeggiavo tenendola per mano e lei si è allontanata un momento per raggiungere la mamma. Mentre vedevo le nostre mani separarsi ho pensato: e se fosse per sempre? Se all’improvviso succedesse qualcosa e un momento così felice si trasformasse in tragedia? Da lì ho cominciato ad approfondire l’idea. Come mi sentirei se dopo cinque anni mi mandassero un video in cui vedo che sta bene? Da un lato sarei felice di saperla viva, ma straziato dal fatto di non essere con lei. E poi comincerei a farmi mille domande.
Lei è spagnolo, perché ha scelto di ambientare la storia a New York? Sostanzialmente per due ragioni. In primo luogo, volevo rappresentare un momento di grande felicità che fosse comprensibile in diversi Paesi e ho pensato che la parata di New York per il Ringraziamento rispondesse a questa esigenza. In secondo luogo, avevo intenzione di criticare il sensazionalismo mediatico, difendendo al contempo il buon giornalismo, senza però fare nomi o citare giornali specifici. Ho scelto un Paese lontano dal mio perché fosse una critica universale, che non chiamasse in causa nessuno di specifico.
La ragazza di neve sarà presto una serie Netflix, quanto è coinvolto nella produzione? Non scrivo direttamente le sceneggiature, di cui si occupano grandi professionisti, ma ho la fortuna di partecipare come consulente all’adattamento. Il mio lavoro è garantire che lo spirito del romanzo venga fedelmente trasferito sul piccolo schermo. Miren è il personaggio cui sono più affezionato e volevo assicurarmi che la sua descrizione emotiva fosse perfetta.
Ha studiato economia aziendale, come è passato dal business alla scrittura? È stato un salto improvviso, legato al successo del mio primo libro. Però devo anche dire che ho sempre amato scrivere fin da quando ero piccolo. La scelta di studiare economia è nata dall’esigenza di optare per una materia che desse maggiori sbocchi professionali, ma poi la mia vera passione ha avuto la meglio. Ammetto, però, che dagli studi finanziari ho tratto il fatto di essere un grande pianificatore, e questa struttura analitica si è rivelata molto utile nell’elaborazione di thriller.
C’è un suo collega che ammira particolarmente? Tra i contemporanei direi Joël Dicker e Donato Carrisi (per me è un vero esempio, un genio del thriller). Dei grandi del passato mi piacciano molto William Flynn e John Hopkins, autori di storie fortemente basate sulle emozioni primarie.
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