Matteo Manassero: “Sbagliando s’impara”

A colloquio con la stella italiana del golf, il più giovane vincitore di tornei al mondo che, dopo un periodo difficile, guarda con fiducia al nuovo anno. Il sogno? Olimpiadi e Ryder Cup nel 2016

Nella vita i momenti di crisi ar­rivano per tutti. Anche per un ragazzo prodigio come Mat­teo Manassero. In quat­tro anni da pro­fessionista – lo è dal 2010, dall’età di 17 anni – ha già conquistato altrettanti tor­nei del circuito; il primo nel 2010 in Spagna, al Castellò Masters, che lo ha reso il più giovane vincitore di sempre sul Tour, battendo anche il suo idolo di sempre, Seve­riano Ballesteros; l’ultimo nel 2013, quando sul campo di Wentworth (Inghilterra) si è ag­giudicato il Bmw Pga Championship. Il 2014, che lo ha visto entrare nella Top 50 di Golf Di­gest come uno dei golfisti più pagati al mon­do (l’unico italiano), non è stato facile: un nuo­vo allenamento per compiere un ulteriore sal­to di qualità nel gioco e il cambio dell’attrez­zatura tecnica hanno reso più difficile ottene­re risultati. «Esperienze che andavano fatte. Bi­sogna imparare anche sbagliando e non facen­do risultato», ammette Manassero, che quan­do parla dimostra di aver raggiunto una maturi­tà non comune in un ragazzo di 21 anni. Intel­ligente, posato, mai sopra le righe: con la sua immagine ha contribuito a incrementare la po­polarità del golf in Italia, dove è sempre sta­to considerato uno sport per pochi. E ora, in un momento in cui il movimento deve fare i con­ti con un calo senza precedenti dei tesserati, il suo ambasciatore prova a dare una so­luzione. Business People ha incontra­to Matteo Manassero lo scorso ottobre a Milano, in occasione dell’inaugurazio­ne del primo campo pratica d’Europa in centro città.

Com’è cambiato il golf italiano dal suo esordio nei professionisti?Non c’è dubbio che ci siano più golfisti in generale e più voglia di golf in Italia. Sono aumentati i giocatori giovani, così come i ragazzini che si sono avvicinati a questo sport; anche i media gli dedica­no oggi più attenzione. Però ci sono an­cora tante cose da migliorare. Mancano, ad esempio, le infrastrutture: non sono sufficienti perché diventi uno sport po­polare come lo è in altri Paesi come in Inghilterra o in Francia, dove hanno fat­to un grandissimo lavoro. Penso che rea­lizzare più campi pubblici sia il veico­lo migliore affinché il golf diventi uno sport per tutti e non, com’è considerato oggi, elitario.

Forse aiuterebbe investire nel binomio tu­rismo e golf. Se ne parla già da tempo… Con le potenzialità turistiche dell’Italia, unire questo settore al golf sarebbe una manna dal cielo, non c’è dubbio. Ma, considerando che di solito i campi si le­gano a hotel di lusso, il golf resterebbe uno sport d’elite. Mi piacerebbe vedere, invece, più strutture pubbliche per coin­volgere gente di qualsiasi tipo, di qua­lunque reddito, com’è giusto che sia. Se il golf diventa più popolare sarà an­che più facile trovare molti più investito­ri. Ben vengano i resort, ma si dovrebbe partire dalla base.

In che senso? Bisogna investire su quello che ancora non c’è. Di grandi resort e grandi cam­pi ne abbiamo già in Italia, non c’è al­ cun dubbio. Quello che manca è l’offer­ta per coloro che, vedendo un torneo in televisione, decidono di iniziare a gioca­re. C’è bisogno di persone che, avendo a disposizione un terreno dismesso in una campagna o fuori da qualsiasi gran­de città, decidano di realizzare un cam­po da golf.

Come è stato fatto nel quartiere di Ci­tyLife a Milano. Realizzare un campo pratica in città è stata un’idea geniale; hanno avuto que­sta occasione e l’hanno colta alla gran­de. Anche io da bambino ho tirato i pri­mi colpi in un posto simile. Questo sport va conosciuto e un campo pratica in cit­tà permetterà a tantissimi ragazzi di rag­giungerlo in autonomia e appassionar­si al gioco.

Ha mai pensato lei di investire nel golf in Italia? Eh, dal mio punto di vista è difficile… Però non si sa mai. Può essere.

Dopo anni di record di successi, il 2014 non è stato un anno facile… Non è stato un grande anno a livello di risultati. Ho lavorato diversamente per migliorare alcuni aspetti del mio gioco e questo ha reso più difficile fare risulta­to. È stata forse la stagione più difficile, ma penso sia propedeutico per il futuro. Quest’anno ho imparato tante cose e ho maturato nuove esperienze, mai provate prima ma che andavano fatte: era sem­pre andato tutto bene, ma ogni tanto bi­sogna imparare anche sbagliando e non facendo risultato.

Come gestire lo stress in un periodo di assenza di risultati? A 21 anni lo ha già imparato? Penso sia importante avere al proprio fianco persone che ti conoscono bene fin dagli esordi; i tuoi cari sono anche i più efficaci nel consigliarti alcune cose. Certo, magari non possono aiutarti a ge­stire lo stress (sul green, ndr), ma sono importanti, più di un mental coach.

Obiettivi per il prossimo anno? Un re­cord che vorrebbe battere? Non ne ho in mente. Finora tutti i miei risultati li ho fatti senza averli in testa: non giochi pensando al record di una pi­sta, lo scopri solo dopo averlo battuto. Spero di tornare a vincere nel 2015 e a partecipare alla Ryder Cup nel 2016.

Anno delle Olimpiadi. Alla medaglia ci pensa? Assolutamente. Spero di esserci e di poter vincere. Innanzitutto, se doves­si avere la possibilità di partecipare, sarà un’esperienza magnifica. Poi ce la giocheremo.

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