La crisi economica non risparmia nessuno, a eccezione forse degli investitori arabi, i quali (che siano qatarioti, emiratini o provenienti dal lontano Bahrein fa poca differenza), a vario titolo e pezzo dopo pezzo, stanno acquistando a colpi di petrodollari la Vecchia Europa del calcio. E non solo. L’ultima operazione porta la firma del fondo sovrano Qatar Sports Investments (Qsi), che, per i prossimi cinque anni, a partire dalla nuova stagione, sarà presente con il marchio Qatar Airways sulle maglie del Barcellona per la cifra “monstre” di 170 milioni di euro (oltre 34 milioni di euro su base annua). La squadra catalana passa così dall’accordo con la Qatar Foundation, organizzazione senza scopo di lucro, a una delle compagnie più ricche al mondo del trasporto aereo (nata appena 20 anni fa). L’accordo tra le due parti prevede anche la costruzione del quartier generale di Qatar Airways nel cuore della Catalunya, un hub per crescere ulteriormente in Europa.Ma che il calcio sia un trampolino di lancio per entrare in nuovi mercati è confermato da un’altra operazione di sponsorizzazione, che ha visto, negli ultimi mesi, un’altra compagnia araba (la Etihad Airways) espandersi strategicamente in Inghilterra. Il vettore di Abu Dhabi (già sponsor di maglia della seconda squadra di Manchester) titolerà nel corso dei prossimi dieci anni, per la cifra record di 170 milioni di euro, l’impianto di Mancini & soci. È la sponsorship più ricca dai tempi di Tamoil-Juventus (guarda caso un altro sponsor arabo), quando i libici, già azionisti della Vecchia Signora, furono convinti dall’allora direttore marketing bianconero, Romy Gai, a investire 24 milioni di euro annui. Poi arrivò lo tsunami di Calciopoli (primavera 2006) e il sodalizio si sciolse al sole della serie B.Gli arabi, più in generale, stanno investendo in misura massiccia in Europa, dalla Premier League inglese alla ricca Liga spagnola (a supporto del Getafe e Malaga). Ma negli ultimi due anni sono sbarcati anche nella Ligue1 francese, puntando a rilanciare un marchio storico come il Paris Saint-Germain (Psg). Un’operazione stimata in oltre 250 milioni di euro nei prossimi tre anni, supportata dall’acquisizione, attraverso Al Jazeera, dei diritti Tv “domestici” ed esteri del campionato transalpino per 90 milioni di euro.Sempre la famiglia Al Thani è pronta a una nuova sponsorizzazione destinata a entrare nel guinness dei primati: 800 milioni di euro (150 milioni di euro nel primo anno e 200 nel quarto e ultimo anno) provenienti dall’Authority qatariota delegata alla promozione turistica (Qta). Un’operazione presentata come “contratto d’immagine” per eludere i controlli degli ispettori dell’Uefa, che non vedono di buon occhio questa tipologia di investimenti provenienti da società o da gruppi appartenenti agli stessi patron del club. Forme di autofinanziamento “mascherate” da investimenti sponsorizzativi per rientrare nelle rigide regole del Fair Play finanziario introdotto, con decorrenza dal 2014, da Michel Platini, presidente dell’Uefa. La notizia, per il momento, è ufficiosa. Ma in caso di conferma vedrebbe il Psg diventare uno dei club più ricchi del calcio mondiale grazie ai petrodollari della famiglia reale Al Thani.
UNA STRATEGIA MULTI-SPORT PER EMIRATESGli Emirati Arabi Uniti sono stati il primo Paese del Golfo persico a intuire le potenzialità degli investimenti sponsorizzativi in ambito sportivo. La compagnia di bandiera Fly Emirates è lo strumento per promuovere l’emirato di Dubai e le sue bellezze paesaggistiche. Emirates, in questo momento, è il più importante spender dello sport-business a livello mondiale. Investe dall’ippica al tennis, passando per il calcio, il rugby, la vela e il golf. In Italia, con una spesa di 60 milioni di euro (12 milioni a stagione) si è assicurata, per i prossimi cinque anni, la maglia del Milan, il club di calcio più blasonato in campo internazionale. È presente sulla maglia del Psg, sempre in Francia, per nove milioni di euro. Sponsorizza la divisa degli Harlequins, massima divisione del rugby inglese. Compare anche sulla casacca di gioco dell’Amburgo (Bundesliga). E, da diversi anni, è top sponsor del team New Zealand nella vela (quest’anno sarà presente, a San Francisco, in occasione della America’s Cup 2013).
IL BAHREIN SULLE ORME DI QATAR ED EAUAnche il Bahrein punta sullo sport per farsi conoscere nel mondo. Ha acquisito nel 2012, attraverso la società Western Gulf advisory, la proprietà del football club spagnolo Real Racing Santader, investendo più di 15 milioni di euro. Mentre in Inghilterra ha acquisito il controllo dello storico Leeds United, per 62 milioni attraverso un altro fondo (Gulf finance house capital). Ma il momento di maggiore notorietà, su scala internazionale, è la Formula 1, dove il governo nazionale mette ogni anno a budget ben 200 milioni di euro per l’organizzazione del Grand Prix di Sakhir (quarta prova del calendario 2013, svoltasi lo scorso 21 aprile). Non si escludono a breve, entro il prossimo biennio, nuovi investimenti sportivi per pubblicizzare il Bahrein in tutto il mondo, seguendo il modello e l’esempio vincente dei “cugini” emiratini e qatarioti. Dal Deserto Arabico, insomma, spira un vento sempre più torrido.
INVESTIMENTI, QUANTO E DOVE – Grandi manovre per i Mondiali di calcio del Qatar
AL-FAYED, IL PIONIERE |
L’invasione araba nel calcio europeo porta il nome di Mohamed Al- Fayed. Miliardario di origine egiziana, dopo aver acquistato nel 1985 per 714 milioni di euro i grandi magazzini Harrods (venduti alla Qatar Holding nel maggio 2010 per 1,5 miliardi di sterline), decise, nel 1997, di consacrare la propria popolarità sul territorio britannico (ancora oggi è uno degli uomini d’affari più ricchi di Gran Bretagna) entrando nel pacchetto di controllo del Fulham, football club londinese che, dopo alcune stagioni nelle serie minori, dal 2001-2 è stabilmente nella Barclays Premier League (nel 2009/10 ha conquistato la finale di Europa League contro l’Atlético Madrid). Da tutti gli addetti ai lavori è considerato il “pioniere” non solo degli investimenti arabi nel calcio europeo, ma soprattutto dell’invasione straniera nella Premiership inglese. Più del 50% della prima divisione infatti è saldamenti nelle mani di tycoon americani, russi, asiatici, lettoni e indiani. |