Se la corsetta nel parco alla sera non vi basta più. O, se siete più allenati, non vi accontentate più di un allenamento “lungo” all’alba per le vie della città. Ecco, se siete alla ricerca di una sfida oltre i limiti dell’orizzonte, allora è il momento per voi di correre verso il cielo. Il nome skyrunning forse vi dirà poco, ma bastano poche parole del suo inventore per restarne affascinati e – perché no – un po’ intimoriti: «Partire da un paese in una vallata, salire in cima alla montagna e tornare al punto di partenza nel minor tempo possibile», spiega Marino Giacometti. Una sfida ai limiti umani, ma anche una nuova visione della montagna come prova tecnica ma anche atletica, nata sulla scia della filosofia di Reinhold Messner che pochi anni prima aveva conquistato i più difficili Ottomila senza l’ausilio di bombole. Era questa la visione dell’alpinista che ha letteralmente creato da zero questa disciplina. Al di là del nome, dunque, si tratta di uno sport tutto italiano, tanto che ancora oggi la sede della International Skyrunning Federation (Isf) è a Biella (e presto capirete il perché). A guidarla è proprio lui, Giacometti, che ha promesso di lasciare nel 2022 «per tornare in montagna per i cavoli miei dopo anni a organizzare le competizioni degli altri».
Imprenditore innamorato della montagna, ha dovuto mettere da parte in questi anni la sua passione per trasformare la sua creatura in un movimento che oggi conta circuiti in ben 15 Paesi tra America, Cina, Giappone ed Europa. Eppure, tutto è cominciato con una manciata di appassionati: «Venivo da un paio di Ottomila e avevo stabilito il record di salita al Monte Rosa e Monte Bianco, mentre Valerio Bertoglio e i francesi in quegli anni stabilivano altri primati sui 4 mila delle Alpi», ricorda Giacometti. «A quel punto abbiamo deciso di iniziare a correre sulle vie normali, sfidandoci direttamente per la prima volta da Courmayer al Monte Bianco e ritorno: era il 28 luglio 1992, partimmo in cinque, fianco a fianco col cronometro e vinse Adriano Greco. L’anno dopo ci furono tre gare, nel 1994 una maratona in Nepal e il primo Vertical Kilometer a Cervinia».
VISIONE IMPRENDITORIALEÈ lì che il Marino appassionato di montagna cede il passo al Giacometti imprenditore che ha un sogno: far conoscere questo nuovo sport organizzando un circuito stabile di gare, spingendo in parallelo il prodotto commerciale. Il resto lo fa il destino che apparecchia un incontro decisivo al campo base dell’Everest. Lo scalatore sta studiando per il record di ascesa al Pumori (7.200 metri, 14 ore) e incrocia l’amministratore delegato di Fila, Enrico Frachey, cliente degli scalatori francesi. Iniziano a parlare e disegnano lo sbarco dell’azienda nel mondo dell’alpinismo con l’obiettivo di modificare radicalmente l’immagine di Fila, all’epoca legata solo alle scarpe da passeggio o a sport più famosi come il tennis o il basket. Inizia così una collaborazione con l’azienda di Biella – ricordate? – che durerà sette anni: aprirà un mercato, in alcuni casi precorrerà i tempi e accompagnerà le vittorie in strada nelle maratone di New York ‘94 col messicano German Silva e a Boston ‘96 del kenyano Moses Tanui. «Eravamo 20 anni in anticipo come prodotto (la linea dedicata sfondò solo sul mercato giapponese, ndr), ma come novità mediatica abbiamo dato molta visibilità al marchio, emozioni e credibilità al prodotto. Frachey ha contribuito all’invenzione dello skyrunning, ha supportato i primi passi dell’arrampicata sportiva e insieme abbiamo favorito e sponsorizzato il ritorno del Trofeo Mezzalama», ricorda Giacometti. «Il Frachey mecenate ha avuto anche sempre gradi intuizioni, non solo per le magliette con le righe per Borg. E per questo ho sempre pensato che business e passione alla fine si incontrassero in chiave positiva. Insomma, Fila non ha buttato i soldi».
UNA NUOVA ERANel 2002 arriva il disimpegno di Fila e lo skyrunning deve cominciare a correre con le proprie gambe. Nascono le Skyrunning World Series come prosecuzione del Fila Skyrunner Trophy e attirano i primi sponsor come Buff, Vibram e altri, che oggi permettono al movimento di avere ossigeno per crescere ancora. Dall’altra parte c’è la necessità di creare una federazione che crei regole specifiche e format di gara: nascono così le categorie Sky (20-50 km in 5 ore massimo), Ultra (più di 50 km) e Vertical (mille metri di dislivello con pendenze anche oltre il 33%), mentre arriva l’associazione all’Uiaa (Unione internazionale delle associazioni alpinistiche) per gli aspetti più complessi come l’antidoping. Quello che non cambia è l’obiettivo della corsa verso il cielo, ma un circuito così deve diventare anche commerciale, avvicinare nuovi appassionati e respingere la concorrenza agguerrita di un mondo in crescita come quello del trail running: «Stiamo tracciando una linea di demarcazione con i nuovi regolamenti, per esempio le pendenze minime e l’uso delle mani che è indispensabile nei percorsi skyrunning», spiega il presidente dell’International Skyrunning Federation. «Anche nell’obiettivo a lungo termine di inseguire il riconoscimento olimpico, noi rimaniamo nel mondo dell’alpinismo, mentre il trail è nell’orbita dell’atletica. Somiglianze tra i due mondi? Parliamo dei 10 mila metri in pista a confronto con la maratona di New York. «Siamo cresciuti per sviluppare sport, ora muoviamo passi per certificare le gare di skyrunning nel mondo e nel futuro non perderemo le nostre radici. Il prossimo passo sarà la definizione della classificazione dei gradi di difficoltà come nell’alpinismo», conclude Giacometti. Come si comincia? «Per partecipare a Sky Marathon tecniche e ad alta quota, l’elemento principale è avere il piacere di vivere l’alta montagna e la conoscenza dell’ambiente, una buona dose di resilienza e gusto della fatica. E in più le basi tecniche per correre in salita, ma soprattutto in discesa che – vi assicuro – è la parte più difficile».
Articolo pubblicato su Business People, giugno 2019
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