Virtuali, immersivi, interattivi. O – più prosaicamente – instagrammabili. Sono i “nuovi” musei: quelli 2.0, che fanno propria la lezione dei social e la usano per rileggere il concetto stesso di arte. Tutti noi siamo infatti cresciuti con due salde convinzioni: se si visita una mostra, è severamente vietato toccare quadri, statue e installazioni. Non si fa: sono opere sacre, che aspirano all’eternità e tu, comune mortale, puoi al massimo contemplarle con riverenza. Stando sempre, rigorosamente, un passo indietro. Guai inoltre – e qui arriviamo alla convinzione numero due – scattare fotografie: si rischia di danneggiare l’arte, soprattutto quella antica. Di nuovo, puoi solo guardare, sempre da quel famoso “passo indietro”. Tutte regole che, per carità, sono giuste e sacrosante ma, diciamocelo, mortificano un po’ l’esperienza artistica personale.
Ebbene, nei musei immersivi accade l’esatto opposto: appena metti piede in una mostra virtuale, c’è subito un omino che, carinamente, ti ricorda di “aggiungere l’hashtag”. Qui infatti le foto sono consentite. Anzi, gran parte del divertimento sta proprio nell’immortalarsi dentro i favolosi scenari ricreati dalle varie installazioni moderne. Qui non “puoi” toccare tutto: devi farlo. Perché l’arte dialoga con te. Non c’è alcun “severamente vietato”, né nessun “passo indietro”: si può dare libero sfogo alla fantasia.
Gli effetti benefici sono chiari. Il primo è che ti diverti un mondo. E se impazzisci di gioia tu, over 40enne, figurati la prole di bambini che puoi portare con te: per loro i musei immersivi sono quasi meglio di un luna park. Inoltre, liberare la fantasia, abbandonare i freni inibitori e mettersi, per esempio, a saltare tra cuori giganti o a nuotare tra palline colorate, fa tornare bambini. Cesare Pavese di sicuro approverebbe ma pure lo psicologo sotto casa: dopo tre anni di pandemia, due guerre in corso, uno scenario ambientale da calamità naturale, quello che serve a tutti quanti è ritrovare il fanciullino che c’è in noi e, almeno per un paio d’ore, tornare a sognare a occhi aperti. Sperando in un mondo dove essere felici. Infine, ci si allena a guardare la realtà da prospettive nuove e diverse. Morale: grazie alle varie proposte, sempre più gente ha incluso la voce “musei” tra i propri passatempi preferiti.
Tutto bene, dunque? Nì. Perché se le mostre virtuali vantano l’assoluto pregio di riavvicinare le persone all’arte, smarcando quest’ultima da una certa visione snobistica, allo stesso tempo rischiano di instagrammarla. Alcuni musei immersivi possono infatti trasformarsi in una passerella di selfie dove è l’ego a farla da padrone: più che ammirare le opere, si rimira se stessi. Si perde dunque il valore intrinseco della Bellezza che consiste nell’aprirsi al mondo, nell’uscire da se stessi e sentirsi piccoli davanti a qualcosa che ti trascende.
L’ingresso, inoltre, non è sempre economico e questo nonostante la garantita pubblicità gratuita: non dimentichiamo che ogni foto postata e taggata su Instagram, X o Facebook è tutta visibilità gratuita per il museo… Dunque tocca scegliere bene: controllare i prezzi e privilegiare gli allestimenti che puntano più sulla dinamica del gioco, che non sulla foto facile. Un esempio è Ikono di Roma: un museo piccolo ma fortemente interattivo, che invita i visitatori a giocare tra di loro e con le installazioni. Qui la parola d’ordine è connessione emotiva, come spiega Merve Deniz, Sales and Marketing Executive: “Vogliamo offrire un’esperienza immersiva e creativa che stimoli la partecipazione attiva e la connessione emotiva, trasformando lo spettatore da mero osservatore a protagonista coinvolto”.
I musei interattivi da visitare almeno una volta |
· Ikono Un consiglio? Andateci in compagnia: vi divertirete come quando eravate ragazzi. Ikono è presente a Roma, Madrid, Barcellona e a Budapest.· Museum Of Dreamers Un viaggio – di ben 21 installazioni – tra desideri, aspirazioni e mondi fatati, che riaccendono la fantasia. Un must per gli inguaribili sognatori. · Bubble World · Il Museo Delle Illusioni · Color Hotel |