Negli ultimi sondaggi Donald Trump sarebbe in vantaggio su Joe Biden in un’eventuale sfida diretta tra i due. Può succedere di tutto nei prossimi cinque mesi, anche sul piano giudiziario. Però, persino chi continua a considerare improbabile un Trump bis è costretto a prendere in considerazione l’ipotesi.
Quel che è certo è che chi vincerà la corsa per la Casa Bianca a novembre dovrà confrontarsi con un cambiamento senza precedenti. Mentre gli Stati Uniti sono rimasti in questi ultimi due anni straordinariamente resilienti nonostante l’aumento dei tassi di interesse e l’incertezza globale, il Paese è diventato di più incline alla volatilità dell’inflazione, data una maggiore esposizione alle carenze strutturali di manodopera che l’affliggono. «In questo contesto la domanda di politiche di stimolo (come i tagli fiscali, ndr) o che danneggiano l’offerta (aumenti delle tariffe, ndr) potrebbe riaccendere l’inflazione più rapidamente e spingere al rialzo i tassi di interesse», registra Ludovic Subran, capo economista di Allianz Trade.
La politica economica di Donald Trump
Finora molte delle promesse elettorali di Trump hanno sollevato questioni di vasta portata soprattutto per l’alleanza atlantica: da una soluzione negoziale della guerra in Ucraina all’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sulle emissioni, fino all’escalation della nuova Guerra Fredda Usa-Cina. Una rielezione di Trump sarebbe un “cigno nero” – evento statisticamente improbabile ma dalle conseguenze sconvolgenti qualora si avveri – però in quest’epoca i cigni neri anziché essere animali rari hanno il vizio di affollare il mondo (dall’11 settembre 2001 di Osama Bin Laden al 7 ottobre 2023 di Hamas, passando per la crisi finanziaria del 2008, Brexit e Trump 1 nel 2016, la pandemia, l’Ucraina). Restringendo il campo della politica economica ci sono alcune direttrici, come il ritorno in grande stile della guerra commerciale con la Cina, con il presunto piano di aumento delle tariffe al 10% e lo stanziamento dei sussidi industriali per ricollocare la produzione negli Stati Uniti. Visti i tanti rischi di stagflazione, ci si aspetta un aumento del protezionismo.
Subran prevede che Trump possa rafforzare l’aliquota tariffaria media effettiva dall’attuale 2,5% al 4,3% circa, pur sempre il livello più alto dalla metà degli anni 70: «Verrebbero rafforzati i controlli doganali che rischiano di far aumentare l’inflazione a breve termine allungando i tempi di consegna ai fornitori. Ci si aspetta che Trump prenda di mira beni che non sono critici per l’economia Usa, pari al 55% delle merci cinesi importate e il 70% delle merci dell’Ue. Il settore tessile cinese e il settore delle attrezzature sarebbero quelli più colpiti. È altamente probabile che un’eventuale presidenza Trump 2 erediterebbe deficit fiscali molto ampi e un aumento delle spese per interessi sul debito pubblico. Potrebbe verificarsi una tornata di ampi tagli fiscali finanziati dal deficit o di un aumento della spesa che riaccenderebbe così l’inflazione, aumentando le preoccupazioni sulla sostenibilità delle finanze pubbliche statunitensi sui mercati obbligazionari».
Alcuni dei sussidi verdi di Biden probabilmente sarebbero abrogati o sostituiti. È presumibile che siano mirati ai settori tecnologici e al rafforzamento della catena di fornitura (soprattutto materie prime, terre rare), prodotti chimici e minerali, ma anche acciaio e automobili. Ci si aspetta che la Federal Reserve sia costretta a mettere in pausa il ciclo di allentamento nel 2025 e il rendimento decennale degli Stati Uniti possa rimanere sopra il 4%. «I mercati azionari subirebbero probabilmente un aggiustamento dovuto all’impatto a breve termine dell’aumento dei tassi. Il tasso ufficiale e i rendimenti dei titoli del Tesoro rimarrebbero superiori al 4%, e i mercati azionari ne risentirebbero. Guardando in direzione del 2026 e del 2027, le politiche che favoriscano le priorità nazionali con uno spostamento atteso verso una politica monetaria più accomodante da parte della Fed influenzeranno probabilmente positivamente le società statunitensi nel loro insieme. Ciò potrebbe portare i mercati statunitensi a sovra-performare rispetto ai concorrenti internazionali, con rendimenti annuali attesi dell’8-10%», annota Subran.
Gli effetti sull’Europa
In Europa un tema angosciante riguarda il futuro della Nato. Tutti ne parlano. La Nato ha garantito la pace e la sicurezza degli europei per tre quarti di secolo. Non esisterebbe senza gli Stati Uniti, o diventerebbe una pallida caricatura di sé stessa? Può sopravvivere a una loro uscita? Donald Trump evocò questo abbandono in alcune occasioni durante la sua prima presidenza, soprattutto nei colloqui con i suoi collaboratori: allora questi riuscirono a dissuaderlo. Un Trump 2 si preannuncia più radicale, a cominciare proprio dalla scelta dei collaboratori. The Donald è convinto che la sua azione di governo dal gennaio 2017 al dicembre 2020 sia stata sabotata dal Deep State, una sorta di governo parallelo formato da alti burocrati e tecnocrati, un establishment avverso al cambiamento, fatto per lo più di democratici e repubblicani moderati. Con l’aiuto della magistratura, anch’essa nella sua maggioranza ostile ai programmi trumpiani. Nella destra estrema le teorie del Deep State sono abbastanza paranoiche e complottiste, però qualcosa di simile esiste: un tempo si chiamava semplicemente establishment.
Se venisse rieletto Trump sembra intenzionato a fare una pulizia radicale e applicherà uno spoil system ben più generalizzato, nominando fedelissimi esecutori ovunque. In politica estera questo scenario potrebbe portare a un Trump 2 ben più “innovatore” del primo. L’uscita dalla Nato segnerebbe una rottura clamorosa con gli ultimi 75 anni di storia. Chiuderebbe anche con tutta la politica globalista inaugurata da Franklin Delano Roosevelt quando portò l’America a intervenire nel secondo conflitto mondiale per sradicare i nazifascismi dall’Europa. Sarebbe un ritorno a un’altra politica, che pure ebbe lunga tradizione e antenati nobili: l’isolazionismo fu dominante per lungo tempo dalla fondazione degli Stati Uniti in poi, con eccezioni come la presidenza del primo Roosevelt (Theodore). Però le radici dell’isolazionismo americano sono profonde, hanno difensori sia a destra che nella sinistra pacifista. Forse si salverebbero Israele e Taiwan, su cui Trump si è espresso talvolta come un falco.
Quando era alla Casa Bianca Trump attaccò più volte Angela Merkel: la Germania ha l’economia più ricca d’Europa, ma le sue forze armate sono da barzelletta. Ha più volte attaccato e sbeffeggiato la politica estera di Bush Junior, ha bollato come errori dissennati le invasioni in Afghanistan e Iraq, diffida di questa corrente; pensa che l’America debba dedicare le sue risorse ai gravi problemi che ha in casa propria. Su questo Trump interpreta un sentimento diffuso nella popolazione americana sia a destra che a sinistra. Ma ci sono differenze importanti sul piano generazionale. Questa corrente del “primato” è minoritaria; conserva delle posizioni importanti nell’establishment di politica estera, in particolare dentro il Pentagono e il Dipartimento di Stato. Una contraddizione di Trump, e anche della sua base elettorale, è il forte sostegno alle forze armate, il rispetto esibito verso chi indossa la divisa. I militari non sono favorevoli a una ritirata dal loro ruolo internazionale. Qualche compromesso Trump 2 sarà costretto a farlo.
Articolo pubblicato su Business People di giugno 2024. Scarica il numero o abbonati qui
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