Google costretta a vendere Chrome? Sempre più verosimile l’ipotesi di smantellamento

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti potrebbe riuscire a obbligare la casa madre del motore di ricerca Google, Alphabet, a cedere il suo browser

Processo a Google: il DOJ chiede la vendita di Chrome© Shutterstock

Proseguono le vicende che vedono protagonisti da una parte Google e, dall’altra, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DOJ). Processo dopo processo le accuse di monopolio illegale a Big G si fanno più stringenti e i conseguenti provvedimenti più impattanti: l’ultimo, per esempio, potrebbe essere la vendita d Chrome.

Ebbene sì: secondo quanto riporta Bloomberg il DOJ ha avanzato ad Alphabet (holding di Google) proprio la richiesta di vendere il suo famoso browser. Così facendo prenderebbe corpo l’ipotesi di spezzettamento (breakup) ovvero quella per cui facendo a pezzi ognuna delle parti di Google si impedirebbe loro di comunicare e dunque di ottenere più benefici e più traffico.

Per diretta conseguenza ciò spezzerebbe il presunto monopolio dell’azienda sulle ricerche online e nel mercato tecnologico. La mossa, che rappresenta uno dei tentativi più aggressivi di limitare il potere delle big tech nella storia recente, si inserisce in una battaglia legale che potrebbe ridefinire il panorama digitale globale.

Sì, perché da diverso tempo Big G è nel mirino dell’Antitrust statunitense. Sono attualmente in corso due processi: United States vGoogle LLC 2020 United States vGoogle LLC 2023, entrambi giunti alla conclusione che il suo successo internazionale sia la diretta conseguenza di pratiche commerciali scorrette.

In buona sostanza, la posizione dominante di Google, che controlla circa il 90% delle ricerche globali, è considerata frutto di pratiche anticoncorrenziali. Il DOJ ha anche puntato il dito contro gli accordi esclusivi con giganti come Apple e Samsung, volti a mantenere proprio Chrome come motore di ricerca predefinito sui loro dispositivi.

Chrome, utilizzato da circa due terzi degli utenti globali, è pertanto una delle colonne portanti del business di Google. Attraverso questo browser l’azienda può monitorare il comportamento degli utenti, raccogliendo dati fondamentali per il suo modello pubblicitario. Secondo i funzionari antitrust, possedere un browser con un simile dominio di mercato fornisce a Google un vantaggio competitivo ingiusto, soffocando la concorrenza e limitando le alternative per i consumatori.

Sebbene l’esito del caso contro Big G sia ancora incerto, la decisione attesa per il 2025 potrebbe segnare un precedente importante, indicando se le leggi antitrust tradizionali sono ancora efficaci per affrontare le sfide del XXI secolo. Per ora, la battaglia legale continua, con implicazioni che potrebbero influenzare non solo il futuro del colosso di Mountain View, ma anche l’intero ecosistema digitale.

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