Google, negli Usa condannato per monopolio illegale delle ricerche

Secondo il giudice americano Google avrebbe speso decine di miliardi di dollari in contratti di esclusiva pur di assicurarsi il monopolio delle ricerche

Google condannato negli Usa, la sentenza: monopolio illegittimo© Shutterstock

Una sentenza storica apre la strada a un dibattito altrettanto storico: un giudice degli Stati Uniti ha stabilito che Google ha speso miliardi di dollari per creare un monopolio illegale per il suo motore di ricerca, sfruttando la sua posizione per schiacciare la concorrenza e soffocare innovazioni che potessero ostacolare i suoi piani.

Secondo quanto stabilito dalla sentenza, la società ha violato la legge antitrust e non si è guadagnata in maniera legittima il predominio globale sia nel campo delle ricerche sia nell’ambito dell’advertising. «Google ha agito illegalmente per mantenere un monopolio nella ricerca online», recita la decisione del giudice federale americano Amit P. Mehta.

Decisione che, per altro, dà ragione al dipartimento di Giustizia e agli Stati americani, già che già nel 2020 avevano citato in tribunale Google con una precisa accusa: aver consolidato il suo predominio pagando ad altre aziende, come Apple, Samsung e Verizon, miliardi di dollari all’anno per diventare automaticamente il provider di ricerca sui loro smartphone e browser web.

La sentenza, che consta di ben 286 pagine, ha in effetti dimostrato che Google detiene circa il 90% del mercato della ricerca su internet e ha stabilito che Google ha anche penalizzato Microsoft nel mercato degli annunci pubblicitari visualizzati accanto ai risultati di ricerca. Dopo la fine del primo iter giudiziario, il giudice ha stabilito che nel corso di un altro processo dovranno essere decise e applicate eventuali risoluzioni.

La risposta di Google, chiaramente, non si è fatta attendere e suona ben chiara: tramite il social network X il presidente per gli affari globali di Alphabet (casa madre del colosso di Mountain View) Kent Walker, ha affermato che «questa decisione riconosce che Google offre il miglior motore di ricerca, ma conclude che non dovremmo essere autorizzati a renderlo facilmente disponibile. […]  Considerato questo abbiamo in programma di presentare ricorso».

Nello statement pubblicato da Walker vengono più volte sottolineati i pregi di Google, che la società userà a suo “favore”: «Mentre questo processo continua – ha infatti concluso Walker – noi continueremo a concentrarci sulla realizzazione di prodotti che le persone trovino utili e facili da usare». Naturalmente, questo connubio di apparente ottimismo e determinazione non toglie che la sentenza abbia scosso le fondamenta dell’azienda.

Per oltre un decennio, Google è stato il browser dominante e, come abbiamo già detto, secondo la sentenza il motivo per cui è riuscito a mantenere questa posizione dominante sono i contratti esclusivi con aziende come Apple e Samsung, che gli consentono di essere il motore di ricerca predefinito sulle loro piattaforme: queste pratiche monopolistiche hanno a loro volta permesso a Google di applicare prezzi elevati per l’advertising.

Essendo il browser predefinito su molte piattaforme è diventato la risorsa più semplice, veloce e affidabile per la maggior parte delle persone. Ciò ha rafforzato l’attività pubblicitaria online dell’azienda, lasciando poco spazio ai concorrenti per offrire servizi comparabili a prezzi più ragionevoli. Se il processo seguire la strada più sfavorevole per Google, le conseguenze sarebbero davvero enormi.

La società potrebbe infatti essere colpita non solo da sanzioni pecuniarie, ma anche e soprattutto da misure di mitigazione forzate volte a ridurre il suo predominio, cosa che porterebbe a non poter più chiudere alcun tipo di accordo con le altre aziende: si ipotizza, infatti, l’implementazione sui device mobili di schermate di scelta per il motore di ricerca, eliminando del tutto la presenza di un browser predefinito.

Di certo l’accusa (nella figura del procuratore generale degli Stati Uniti Merrick Garland) è ottimista: «quella del processo è una decisione storica che responsabilizza Google. Nessuna azienda, per quanto grande o influente, è al di sopra della legge».

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