In Italia, la metà degli immigrati impiegati nei settori più vulnerabili del mercato del lavoro, come l’agricoltura, l’edilizia, il lavoro domestico e il turismo, lavora senza contratto o in condizioni di grave irregolarità: tutto ciò aumenta le cifre del lavoro sommerso, che rende invisibili milioni di persone condannandole a condizioni di sfruttamento che ne minano la dignità e i diritti.
Ad accendere i riflettori su questo quadro allarmante è un’accurata indagine condotta dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp) in collaborazione con la Fondazione Giacomo Brodolini (Fgb), presentata durante il convegno Decent work? Segregazione occupazionale e condizioni di lavoro della manodopera immigrata tenutosi a Roma.
L’indagine ha coinvolto oltre 2.000 immigrati domiciliati in Italia, provenienti da 85 nazionalità diverse, principalmente da Paesi non appartenenti all’Unione Europea. L’obiettivo dello studio era analizzare le condizioni di lavoro dei migranti impiegati nei settori a più alto rischio di sfruttamento, raccogliendo dati su città metropolitane come Roma, Milano, Bologna, Napoli e su province come Foggia, Ragusa e Treviso, aree con una forte presenza di manodopera straniera.
Il campione comprendeva soprattutto uomini (1.291 rispetto a 730 donne) e una fascia d’età prevalente tra i 25 e i 34 anni (37% degli intervistati) e uno dei risultati più sorprendenti dell’indagine è che ben il 51% degli immigrati nei settori analizzati lavora senza un contratto legale. La condizione di lavoro in nero è particolarmente diffusa nei settori agricolo e delle pulizie, ma a preoccupare è anche il fenomeno del lavoro grigio.
In questa tipologia di lavoro esiste effettivamente un contratto formale, ma le condizioni contrattuali vengono disattese. A esserne “vittime” sono soprattutto gli impiegati in agricoltura e nella manutenzione del verde (22,1%) e quelli nel settore delle pulizie, tra uffici, alberghi, navi, ristoranti e veicoli (19,3%).
Un altro dato cruciale riguarda l’irregolarità amministrativa, con ben il 29,1% degli intervistati che si trova in una condizione illegale, con una prevalenza tra gli uomini (32,7%) rispetto alle donne (18,5%). Lo status di questi lavoratori non solo li rende invisibili agli occhi della legislazione, ma limita anche le loro opportunità di ottenere una condizione lavorativa regolare e dignitosa.
Le condizioni di lavoro irregolare si riflettono anche sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori immigrati. L’indagine ha rilevato che l’8% degli intervistati ha subito un incidente sul lavoro, ma solo il 57,6% di questi ha richiesto assistenza sanitaria, evidenziando una preoccupante mancanza di tutela. La paura di perdere il lavoro e le difficoltà legate all’accesso al sistema sanitario sono tra le ragioni principali per cui molti lavoratori non denunciano gli incidenti.
Inoltre, una parte significativa dei lavoratori non riceve assistenza adeguata o rimane in condizioni di salute precarie senza un rimedio. Va da sé che ciò ritragga non solo la precarietà delle condizioni lavorative, ma anche il deficit di tutele: l’incapacità di denunciare le condizioni di lavoro per timore di ritorsioni espone i lavoratori a rischi costanti, che spaziano da incidenti sul lavoro a condizioni di vita insostenibili.
Alla luce di tutti questi dati, appare chiara la necessità urgente di interventi concreti per migliorare le condizioni di lavoro degli immigrati. Il presidente di Inapp, Natale Forlani, ha suggerito che oltre all’aumento dei controlli, sarebbe utile un intervento delle imprese e delle rappresentanze sociali nella programmazione dei contratti, per garantire maggiore equità nel mercato del lavoro. Solo con politiche mirate e con l’impegno di tutti gli attori coinvolti sarà possibile affrontare questa emergenza sociale ed economica.
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