L’intelligenza artificiale può permettere di affrontare compiti che non sono alla nostra portata. Potrebbe sembrare una frase banale, ma in realtà è più ricca di sfumature di quanto si possa pensare, specie se si applica ad attività altamente specifiche che richiedono tempo e impegno per essere eseguite senza errori.
A restituire un interessante quadro della situazione è Boston Consulting Group BCG Henderson Institute che ha condotto un esperimento in collaborazione con BCG X ed Emma Wiles della Boston University, per testare l’impatto della GenAI sulle prestazioni dei propri consulenti nelle attività di data science.
A partecipare all’esperimento sono state 480 persone e, come riporta il resoconto dello studio, GenAI Doesn’t Just Increase Productivity. It Expands Capabilities, i consulenti hanno svolto due compiti a scelta tra tre task che simulano le attività quotidiane di un data scientist: scrivere codice Python per unire e pulire dataset, costruire un modello predittivo e validare analisi statistiche generate da ChatGPT.
I compiti in questione sono stati selezionati perché di base sono impegnativi per ogni consulente ma, in più, non possono essere interamente automatizzati dall’intelligenza artificiale. I dati sono stati comparati con quelli di 44 consulenti che hanno svolto gli stessi identici incarichi senza utilizzare la GenAi e il risultato è stato chiarissimo: tutti coloro che se ne sono serviti sono stati in grado di gestire efficacemente le nuove sfide, anche quando non rientravano nelle loro competenze.
Più specificamente, i consulenti coinvolti nello studio hanno potuto espandere immediatamente le proprie capacità: anche in assenza di esperienze pregresse in ambito di programmazione o statistica sono riusciti a scrivere codici, applicare correttamente modelli di machine learning e correggere processi statistici errati. Il dato più significativo si è registrato, però, nel campo della programmazione.
Infatti i partecipanti, testati sulla loro capacità di scrivere codice in Python, hanno raggiunto un punteggio medio pari all’86% del benchmark fissato dai data scientist, con un miglioramento di 49 punti percentuali rispetto a coloro che non hanno utilizzato la GenAI. Inoltre, il gruppo supportato dalla GenAI ha completato il compito circa il 10% più velocemente rispetto ai data scientist.
Interessanti anche i dati relativi all’analisi predittiva. Qui i partecipanti hanno affrontato una sfida complessa, perché né loro né lo strumento GenAI possedevano una competenza avanzata in questo ambito. Questa sfida è stata quella dove le prestazioni dei data scientist non sono state eguagliate, indipendentemente dalla loro esperienza in coding o statistica.
In generale, però, l’intelligenza artificiale ha la capacità di integrare le abilità umane e di sopperire a eventuali mancanze. In più, accompagna verso un reskiling: i consulenti si sono sentiti incoraggiati a sviluppare nuove competenze tecniche, cosa che (secondo le conclusioni dello studio) potrà portare le aziende, in futuro, a trovare vantaggi competitivi sviluppando strumenti e processi che valutino con precisione le capacità dei modelli GenAI per i loro casi d’uso.
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