Per comprendere la legge di Gresham è importante capire due definizioni: quella di “denaro buono” e quella di “denaro cattivo”. Il primo corrisponde a una valuta con un valore sostanziale uguale a quello nominale, e solitamente è costituito da monete realizzate con metalli preziosi come oro e argento. Il secondo ha una valuta meno preziosa, che viene designata come tale dall’autorità sovrana. In un’economia con entrambi i tipi di moneta avrà la meglio la valuta cattiva.
È questo, in breve, quello che dice un assunto che prende il nome da colui che l’ha teorizzata nel XVI secolo: il mercante e banchiere di origini inglesi, Thomas Gresham. Alla base della sua ipotesi c’è la consapevolezza che “la moneta cattiva scacci quella buona” che, tradotto, spiega il meccanismo per il quale gli operatori dell’epoca – banchieri, cambiavalute e mercanti – tendessero a pagare con denaro danneggiato (dunque con un valore intrinseco minore, in riferimento al metallo prezioso che lo costituiva, rispetto al valore nominale) e ad accettarne soltanto di nuovo di Zecca.
Il meccanismo scoperto da Gresham
Se questo scambio funziona, si verifica che un numero sempre maggiore di monete ‘buone’ viene trattenuto da chi lo riceve, mentre quelle ‘cattive’ corrispondono sempre più spesso a quelle usate per le transazioni. Si tratta di una legge conosciuta già ai tempi di Niccolò Copernico, nel 1525, per non parlare della citazione contenuta ne “Le rane” di Aristofane:
“Ci è sembrato più volte che la Città
coi cittadini galantuomini usa
lo stesso sistema che con gli zecchini vecchi e le monete nuove.
Succede, se non mi sbaglio, che degli zecchini,
mai falsificati – più belli non ce ne sono –,
gli unici coniati bene e apprezzati
tra Elleni e Barbari, dovunque, non se ne fa più uso:
queste patacche di rame, coniate ieri o l’altro
col peggiore stampo, invece sì”.
Una testimonianza, questa, che denota quanto il profitto economico e lo scambio commerciale fossero all’avanguardia e tenuti in altissima considerazione dai tempi antichi.
Che cosa afferma la legge di Gresham
La legge monetaria di Gresham si basa su un sistema monetario in cui il valore nominale delle monete è pari al loro contenuto in oro oppure a quello di altri metalli preziosi. In un contesto del genere è inevitabile che il denaro in circolazione perda parte del materiale che lo costituisce e, quindi, parte del proprio valore.
Per questo motivo, le monete ‘cattive’ hanno un valore nominale strettamente connesso al tipo di moneta, superiore rispetto a quello intrinseco e determinato dalla quantità di oro, argento oppure altri metalli preziosi realmente contenuta nell’oggetto in sé. Ad avere un ruolo primario, in questo caso, sono il tempo e l’usura, ma possono incidere anche alcune pratiche illegali.
Le monete venivano fuse e riconiate, da quelle ‘cattive’ – dato il loro valore intrinseco minore – potevano derivare soltanto pezzi dal valore nominale inferiore. In sostanza, la fusione non faceva altro che giocare a sfavore, peggiorando una condizione già di per sé sfavorevole. Ecco che, per le transazioni, le persone preferivano pezzi nuovi di Zecca. Quindi, con un valore intrinseco corrispondente a quello nominale, e non quelli usurati dal tempo o da altri processi a cui erano stati sottoposti.
La legge di Thomas Gresham prende questo nome perché il banchiere è stato fra i primi a capire e a spiegare il processo per il quale, in base al ruolo che si giocava all’interno dello scambio monetario, c’era la tendenza a liberarsi della ‘cattiva’ moneta a favore della ‘buona’. In sostanza chi doveva pagare preferiva la prima, chi doveva essere pagato la seconda. E, quindi, i pezzi di nuova emissione scomparivano dalla circolazione.
Cosa significa “tosatura della moneta”
Non sono solo il tempo e l’usura a giocare un ruolo determinante. In passato succedeva spesso, pure, che le monete perdessero parte del proprio valore reale per via della cosiddetta tosatura. Altro non era che un’abitudine illegale che consisteva nel grattare, raschiare, lesionare in tutti i modi possibili i bordi. È proprio per questa ragione, per contrastare questa forma di raggiro, che esiste la zigrinatura del bordo. In questa maniera è impossibile procedere senza che qualcuno non se ne accorga.
La legge di Gresham – piano, piano – ha portato al fallimento dei cosiddetti sistemi monetari bimetallici. Si trattava di meccanismi per i quali lo Stato fissava una parità di valore fra metalli, che però i mercati possono pure non accettare se entra in circolazione una grande quantità di uno dei due metalli.
Un caso del genere si è verificato nel caso della scoperta dell’America. La moneta sottovalutata dal cambio ufficiale, infatti, è stata ritirata dalla circolazione per volere di persone che avevano interesse a scambiare il metallo prezioso in essa contenuto con altri metalli a un tasso più conveniente rispetto a quello ufficiale.
Chi è Thomas Gresham, vita e carriera
Classe 1519, Thomas Gresham era un mercante inglese e un finanziere che lavorava per conto del re Edoardo VI e la sua sorellastra, la regina Elisabetta I. La sua esperienza nel settore lo rende un professionista nella gestione valutaria e dei saldi finanziari, molto ferrato in faccende monetarie. La sua fama è legata alla legge di Gresham, messa a punto partendo dalle considerazioni di Nicolas Copernico.
Di origini londinesi e discendente da un’antica famiglia del Norfolk, Gresham era un cosiddetto figlio d’arte. Richard Gresham, suo padre, era un famoso mercante londinese, per qualche tempo Lord Mayor di Londra e rinomato per aver commerciato a beneficio di Enrico VIII dall’Inghilterra prestiti da mercanti stranieri.
Nonostante una carriera già ben avviata grazie al lavoro paterno, Thomas Gresham ha passato qualche tempo al Caius College di Cambridge. Successivamente si è dedicato a un periodo di apprendistato, durato otto anni, sotto la guida di suo zio John Gresham: anche lui mercante e fondatore della Gresham’s School a Holt, Norfolk.
Nel 1543 la Mercers Company ha ammesso Gresham, appena 24enne. Nello stesso anno è andato nei Paesi Bassi per lavorare a nome della sua famiglia e per svolgere diverse attività per conto di re Enrico VIII. L’anno successivo ha sposato la vedova di William Read, anche lui mercante di Londra, ma ha continuato a vivere nei Paesi Bassi. Ad Anversa, infatti, seguiva la maggior parte dei propri affari.
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