L’Europa è ferma. I veti incrociati bloccano ogni decisione, la crescita ristagna, mentre il resto del mondo va avanti. E Mario Draghi, ancora una volta, affonda il colpo. «Non si può dire no a tutto», ammonisce l’ex premier italiano e presidente della Bce dal Parlamento europeo, rivolgendosi ai rappresentanti degli Stati membri.
Mario Draghi: l’Europa diventi uno Stato unico
Per Draghi il tempo delle esitazioni è finito: o l’Ue si trasforma in uno Stato unico, con una politica economica e militare condivisa, o resterà schiacciata tra le potenze globali. Il suo intervento arriva in un momento critico. Con il ritorno alla Casa Bianca, il presidente Usa Donald Trump ha fatto intendere che gli Stati Uniti potrebbero ridurre il loro impegno verso l’Europa. La guerra in Ucraina portata avanti dalla Russia impone scelte rapide, ma l’Unione sembra incapace di reagire, paralizzata dalle sue stesse divisioni. Secondo l’ex numero uno della Banca centrale europea, il Vecchio Continente rischia di restare isolato e vulnerabile se non troverà il coraggio di compiere un salto politico ed economico.
Cosa deve fare l’Ue
Le soluzioni proposte dall’ex presidente della Bce sono nette. L’Europa deve completare il mercato unico, accelerare sull’unione della difesa e varare un piano di investimenti da 800 miliardi di euro l’anno. Per finanziare questa trasformazione, sarà necessario superare le resistenze dei Paesi più rigorosi sui conti pubblici e ricorrere al debito comune. È una prospettiva che continua a spaventare molti governi del Nord, ma che per Draghi – come evidenziato anche in passato – rappresenta l’unica strada possibile per garantire stabilità e competitività.
Anche sul piano industriale, la strategia dell’Unione va ripensata. Il protezionismo americano e la competizione con la Cina stanno riscrivendo gli equilibri globali. Settori che sembravano superati, come la siderurgia e la chimica, tornano ad avere un ruolo centrale. L’Europa non può permettersi di perdere il controllo su questi asset strategici, né può continuare a subire le conseguenze di una transizione energetica mal pianificata.
Mario Draghi è chiaro: la sostenibilità non può essere guidata dall’ideologia, ma dalla realtà dei fatti. La chiusura ai motori endotermici, per esempio, non può avvenire senza un’infrastruttura adeguata per le auto elettriche. La decarbonizzazione deve essere sostenibile, ma anche economicamente fattibile, senza lasciare indietro intere filiere produttive. L’Unione europea, secondo l’ex premier, non può più permettersi di procedere a rilento.
L’integrazione deve diventare una priorità, non un tema da rimandare a oltranza. La sicurezza del Continente, un tempo garantita dagli Stati Uniti, dovrà essere gestita con strumenti propri, così come la politica industriale e quella energetica.
La Commissione europea, intanto, sta lavorando al Clean Industrial Deal, un pacchetto di misure per abbassare il costo dell’energia e rendere più competitiva la produzione europea. Ma senza una strategia più ampia e un finanziamento adeguato, rischia di rimanere un’iniziativa priva di reale impatto. «Abbiamo vissuto in una situazione confortevole, ma quel mondo è finito». Con queste parole, Draghi chiude il suo intervento. Il messaggio è chiaro: se l’Europa non farà il salto federale, il rischio non è solo quello di una crescita più lenta, ma di una perdita di rilevanza nello scacchiere globale.
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