Un ossimoro. Di fronte alla transizione ecologica non possiamo evitare di registrare pesanti contraddizioni che rischiano di pregiudicarne il percorso. Il Parlamento e il Consiglio Ue sono prossimi a un accordo sul nuovo provvedimento con cui l’Unione europea intende imporre obblighi di sostenibilità alle sue imprese (la cosiddetta corporate due diligence). La questione è controversa, anche perché potrebbe rivelarsi in contraddizione con altri obiettivi comunitari, come quello che mette l’accento sui necessari approvvigionamenti in materie prime o in terre rare. L’obiettivo di Bruxelles è di imporre alle aziende di rispettare diritti umani e ambiente lungo tutta la catena globale del valore. L’attenzione corre inevitabilmente al lavoro minorile, alla schiavitù, all’inquinamento o alla cattiva gestione dei rifiuti. Le imprese dovranno integrare il dovere di diligenza nelle loro scelte e monitorarne l’efficacia da qui ai prossimi anni.
Il testo prevede sanzioni contro le società inadempienti. Alcuni osservatori sottolineano il rischio che la nuova direttiva sia in contraddizione con il recente regolamento che promuove l’approvvigionamento di terre rare. Molte di queste materie prime giungono da Paesi terzi nei quali il rispetto dei diritti ambientali, sociali e in alcuni casi umani è drammaticamente in forse. Nel mondo i giacimenti di terre rare hanno una grandezza di 120 milioni di tonnellate, distribuiti in non più di 20 Paesi. Gli Stati che ne ospitano il maggior numero possono essere ricondotti prevalentemente ai Brics, Brasile-Russia-India-Cina-Sudafrica, gli stessi che nelle analisi economiche vengono associati per il notevole aumento del pil dal 1990 a oggi.
Terre rare: Cina prima per quantità e siti estrattivi
Stando alle rilevazioni attuali e ai giacimenti attivi, la Cina non solo è la più ricca per quantità ma anche per numero di siti estrattivi. Pechino ha ben nove tra i siti più attivi nell’estrazione dei minerali di bastnasite, laterite e xenotite. Sono elementi come il lantanio (La), cerio (Ce), praseodimio (Pr), neodimio (Nd), samario (Sm), europio (Eu), gadolinio (Gd), terbio (Tb), disprosio (Dy), olmio (Ho), erbio (Er), tulio (Tm), itterbio (Yb), lutezio (Lu), ittrio (Y). Costituiscono la parte fondamentale nella produzione di batterie, microprocessori e circuiti. Chi li possiede è destinato a svolgere un ruolo egemone. Fino ad esaurimento scorte. Le auto elettriche d’altronde richiedono sei volte i minerali e i metalli rispetto ai motori tradizionali. Le turbine 30 volte di più. Significa che la domanda di terre rare è destinata ad aumentare da tre a sette volte entro il 2040.
A che punto è l’Europa sul fronte delle terre rare?
In Europa abbiamo invece da tempo perso lo zinco. L’alluminio da anni è ai minimi storici, meno di 20 mila tonnellate depositate nei magazzini. ll rame è tutto cinese, visto che Pechino detiene il 93% delle scorte mondiali. Sul litio, necessario per le batterie, la distribuzione è più omogenea, ma la Cina si è posizionata a monte del settore della raffinazione (e dell’estrazione) avendo strappato una buona parte delle concessioni di chi questi metalli li ha per natura: Africa e America Latina. Ma quel che preoccupa davvero la Ue è quello che sta avvenendo a Londra. Spiega l’esperto Gianclaudio Torlizzi, attuale consulente del ministero della Difesa, che «il livello delle scorte di metalli nei magazzini del London Metal Exchange continuano a mostrare un livello critico». Parliamo della piattaforma di negoziazione per i metalli, un bel punto di osservazione di quello che sta avvenendo. Nelle ultime settimane si registrano ingenti afflussi di metallo nei magazzini di Singapore e Malesia.
Ecco perché l’Europa vuole provare a costruirsi la sua sovranità. Ma forse può farlo solo a condizione di potenziare maggiormente gli investimenti sul riciclo, perché quei metalli ci sono già tutti sulle nostre auto, i nostri elettrodomestici, i nostri pc. Uno studio Ambrosetti calcola che dai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche si possano ricavare oltre 55,5 milioni di tonnellate di materie prime critiche.
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L’impatto sull’ambiente della transizione ecologica
Per le loro caratteristiche intrinseche le terre rare stanno diventando lo sporco segreto della transizione ecologica. L’estrazione ha un impatto devastante sull’ambiente e riduce la qualità della vita della comunità locali. L’estrazione di metalli critici in Cina, come quella del cobalto nella Repubblica democratica del Congo, del litio in America Latina (in Cile si registrano livelli di inquinamento altissimi) stanno provocando nuove problematiche di natura ambientale, innescando una forte resistenza delle popolazioni locali.
In Congo uomini, donne e bambini lavorano senza sosta per estrarre dalle viscere della terra il coltano, che è necessario per far funzionare i nostri smartphone o il cobalto per costruire le batterie delle nostre auto elettriche. Un’inchiesta dell’Onu ha dimostrato che, a causa della corruzione, le ricchezze sono nelle mani di pochissimi e lasciano ai lavoratori solo le briciole. La maggior parte delle compagnie minerarie che operano in Africa sono di fondi di investimenti stranieri, a cui i governi locali richiedono solo una piccola parte dei profitti. Nonostante i codici minerari nazionali e le linee guida delle Nazioni Unite, si tratta di aziende che violano sistematicamente i loro impegni. È così che i Paesi africani ricchi di minerali soffrono della maledizione delle risorse naturali: mancanza di terre agricole in Senegal, bambini calvi con malattie respiratorie in Zambia, pozzi d’acqua contaminati in Sudafrica, violazioni dei diritti umani in Madagascar, inquinamento ambientale in Nigeria, finanziamento dei gruppi armati in Ruanda. «Il fenomeno del lavoro minorile è concentrato soprattutto nelle aree più povere del pianeta, in quanto sottoprodotto della povertà», registra l’Unicef. Nella sola Dakar, capitale del Senegal, sono 8 mila i bambini che vivono come mendicanti, denuncia il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, e sono ancora di più i minori che lavorano come operai sottopagati e in contatto con sostanze pericolose che mettono a rischio il loro futuro sviluppo.
In cerca di alternative di estrazione per le terre rare
Il paradosso diventa che coloro che supportano la transizione ecologica sono i maggiori oppositori delle attività estrattive di minerali. Contaminazione da metalli pesanti, erosione del suolo, inquinamento del ruolo e delle risorse idriche sono le maggiori problematiche. «All’inizio del decennio scorso la Cina estraeva il 98% circa delle terre rare, oggi questa cifra si è quasi dimezzata. Ciò è avvenuto a causa della consapevolezza che è un’industria dannosa per l’ambiente», dice Guido Alberto Casanova, assistente alla ricerca dell’Ispi.
«I dati provenienti dalla miniera di Bayan Obo in Cina parlano chiaro: i rifiuti tossici rilasciati nelle risorse idriche hanno causato cancro al polmone, una patologia in aumento a doppia cifra a causa delle polveri, frutto dell’esplosione dei metalli per estrarre le terre rare». Negli anni ’70-’80 questa industria è migrata dagli Stati Uniti, all’epoca i più grandi produttori di terre rare, a causa dell’adozione di legislazioni più stringenti sull’ambiente, emanate da Nixon in seguito a casi di inquinamento radioattivo. Ora si fa strada un’inevitabile corsa al reshoring produttivo, ma rischia di essere tardi e tutto tranne che sostenibile. Per questo vengono studiate varie alternative di estrazione, come quelle plant-based o microbial-based, che attraverso biotecnologie o tecnologie biogeochimiche permettono di estrarre senza i rischi ambientali attuali. Si tratta di metodi che di sicuro avrebbero una buona resa in termini di costi energetici e di sostanze chimiche nocive, ma che non sono ancora in grado di sostituire la tecnologia attuale per la mancanza di sufficienti economie di scala.
Articolo pubblicato su Business People di marzo 2024. Scarica il numero o abbonati qui
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