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La Microtel Group: produzione di nicchia con una strategia globale. Ricercatore, manager e imprenditore. Così Roberto May ha trasformato una piccola società nata tra amici in una “multinazionale tascabile”. «Ora gestisco, ma mettere il camice del tecnico è ancora emozionante»

Tecnico, manager o imprenditore? Perché scegliere quando si possono fare tutte e tre le cose insieme? In fondo, tra le tre professioni c’è una zona grigia nemmeno troppo sottile dove convergono esperienze e capacità comuni alla ricerca, al management e all’iniziativa imprenditoriale. Basta guardare quello che è capitato a Roberto May, ceo di Microtel group, società milanese specializzata nella realizzazione di componenti elettronici per la grande industria, che nel giro di trent’anni ha trasformato la sua azienda da piccola impresa messa insieme da un gruppo di amici in una “multinazionale tascabile” da 33 milioni di euro, con basi in Germania e Cina. Tra quegli amici nel 1980 c’era appunto May, che alle spalle aveva una dozzina d’anni di esperienza come ricercatore all’interno di un grande gruppo, e al quale a un certo punto della sua vita è balenato in testa il fatidico “perché no? Perché non mi metto in proprio?”

Appunto, perché no?Nella vita molte scelte dipendono dall’opportunità del momento. Non so se avrei mai preso questo tipo di iniziativa autonomamente. Però parlando con gli amici, che lavoravano nello stesso ambito anche se non nella stessa azienda, qualcuno ha detto “perché non facciamo una cosa per conto nostro?” La grande azienda è strutturata, mette a disposizione servizi, ma è meno reattiva, si sa di meno in ultima analisi da chi dipendono le scelte, e c’è meno possibilità di parlare con chi prende decisioni strategiche. È un ambiente in cui spesso ci si lamenta perché le realtà sono meno personalizzate. Non so, lì per lì mi parve una cosa interessante tentare questa esperienza. In seguito mi sono accorto della grande valenza sociale che riveste il mettere insieme un’attività in proprio. Se lo scopo dell’esistenza di un’impresa non sono solo i soldi, lavorare insieme diventa un’opportunità per sé e per altri. E in periodi difficili come quello appena trascorso il senso di questa responsabilità aumenta.

Come ha reagito la sua impresa alla crisi?Il nostro non è un settore anticiclico, l’elettronica destinata alla grande industria segue il trend generale. Ci sono state delle ripercussioni anche per Microtel, naturalmente, ma abbiamo reagito meglio di altri.

Per quale motivo?Ultimamente c’è stato un processo di diversificazione nel campo dei sensori di pressione. Ora viene utilizzata la stessa tecnologia di base su cui a suo tempo fu fondata Microtel. Dunque mentre nel 2009 gli altri settori hanno registrato una contrazione, quello dei sensori di pressione ha continuato ad affermarsi: la crisi così si è sovrapposta al nostro trend di crescita e non ci ha danneggiato. Poi diciamo che siamo stati premiati dalla nostra strategia di espansione all’estero. L’internazionalizzazione verso la Cina, per esempio, non nasce dall’esigenza di produrre a basso costo, ma dalla volontà di offrire servizi e prodotti in un mercato che cresce più degli altri. Infatti i nostri prodotti sono realizzati in Italia e vengono distribuiti nel Far East attraverso la società che abbiamo aperto nel 2009 a Shanghai.

E per quest’anno che previsioni avete?Stiamo con i piedi per terra, ma prevediamo che la Cina assorbirà il 40% di tutti i sensori di pressione che produciamo. Il mercato di riferimento è quello dell’industria, ma anche l’automotive, pur essendo difficile da penetrare, ha numeri interessanti.

Che piano avete seguito per espandervi all’estero?Ci siamo mossi in maniera abbastanza autonoma, senza avvalerci dell’aiuto di associazioni di categoria o delle istituzioni. All’inizio ci siamo collegati con agenti commerciali in Svizzera, Francia, Gran Bretagna e Spagna, con sorti alterne; poi abbiamo tentato di entrare in Germania aprendo un’agenzia commerciale che però non ha portato a nulla. Ma per noi era un mercato chiave, per cui abbiamo deciso di acquisire una società di Norimberga, dove attualmente lavorano circa 100 dipendenti. Lo sviluppo all’estero inizialmente non è stato troppo difficoltoso: nei primi anni il nostro era un mercato di nicchia e per sua natura i player erano relativamente pochi, con la possibilità per tutti di muoversi ad ampio raggio.

Che estensione hanno le strategie di marketing nel vostro settore?Non dico che il marketing classico non ci riguarda: anche a Microtel può essere utile se per marketing si intende conoscenza del mercato e dei competitor e delle loro evoluzioni. Ma per noi che lavoriamo come fornitori di intermediari il marketing non è così fondamentale. In certi casi è intrinseco alle attività di management nell’ambito commerciale, ma personalmente non ho mai avuto nessuna esperienza di vendita.

E il camice da ricercatore lo indossa ancora?La mia è un’attività gestionale al 90%, ma devo ammettere che ultimamente c’è stato un ritorno di fiamma per le attività di laboratorio. Ho seguito da vicino diverse funzioni di ricerca e sviluppo. E – forse con un po’ di nostalgia – devo riconoscere che è incredibilmente appassionante: alla base del lavoro del tecnico ci sono le soluzioni ai problemi, da trovare con inventiva e da verificare con pazienza.

Invece cosa trova di appassionante nel management?Tanti aspetti: la possibilità di vedere una realtà nel suo complesso nella varietà delle problematiche. Un manager sa che nel bene o nel male influisce in modo determinante nella realtà in cui opera. Riconoscere l’efficacia delle proprie azioni e scoprire quali sono i propri limiti attraverso i risultati dell’azienda sono le due facce della medaglia della gestionalità. Io mi considero un uomo fortunato per quello che mi è capitato di fare.

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