Oggi pare assodato che per fare impresa non sia più sufficiente proporre buoni prodotti e fare profitto. I consumatori si aspettano che le aziende prendano posizioni chiare e intraprendano azioni concrete per il bene della società e del pianeta. Ma L’Oréal ha iniziato a ragionare in questo modo ormai dieci anni fa, precorrendo i tempi, come ci tiene a sottolineare Filippo De Caterina, Director Corporate Affairs & Engagement per l’Italia. «Siamo impegnati da molto tempo nella sostenibilità ambientale e sociale, da prima che diventasse un tema ricorrente. Dal 2013, ovvero quando abbiamo lanciato con lo spirito dei pionieri il nostro primo programma di sviluppo sostenibile Sharing Beauty With All, con risultati importanti che abbiamo rendicontato con trasparenza, il mondo è cambiato», spiega. «Abbiamo quindi sentito il dovere di proseguire e rafforzare il nostro impegno. L’Oréal For The Future, lanciato nel 2020, conferma la volontà di trasformarci in maniera ancora più marcata, con kpi misurabili e definiti per far fronte alle sfide che il mondo affronta a livello globale».
Questa nuova “responsabilità” attribuita alle aziende sta cambiando la comunicazione d’impresa?
Stiamo lavorando moltissimo sul ruolo sociale dell’azienda, proprio perché siamo consapevoli che la nostra posizione di leader nel mondo del beauty comporta grandi responsabilità. Quella di aprire la strada verso temi sociali come la sostenibilità o il sostegno delle comunità, ma anche quella di spiegare il ruolo sociale del cosmetico e l’importanza dei nostri prodotti nella vita delle persone. Tutto questo è alla base dei nostri valori ed è condensato nel nostro Sense of Purpose, che dall’anno scorso abbiamo presentato in una campagna globale. Penso sia la prima volta che L’Oréal Group si è espressa con una comunicazione totalmente concentrata sui valori. Valori che parlano di inclusione e di sostenibilità, di attenzione all’ambiente e alle persone. Ed è importante che sia stata una campagna corporate, quindi al servizio di tutti i brand del gruppo che ne condividono le basi valoriali.
È corretto dire che il ruolo del comunicatore vada oggi oltre la semplice (si fa per dire) promozione dell’azienda e delle sue attività, a favore di un impegno più attivo nell’ideazione, progettazione e realizzazione di progetti concreti, che siano portatori del messaggio che si vuole condividere?
Noi comunicatori siamo coinvolti in un processo evolutivo in cui tutti devono fare la propria parte. Con un sistema social sempre più complesso e la metabolizzazione del concetto di Csr, le aziende sono diventate produttori di contenuti. Devono, quindi, assumersi il compito di comunicarli direttamente e in modo trasparente, come vere e proprie aziende editoriali multipiattaforma. Ma questo nuovo modello comunicativo non può che essere strettamente integrato con i processi dell’azienda. Insomma, noi comunicatori siamo sempre più chiamati a essere parte integrante dei processi aziendali, a viverli e parteciparli per poterli rappresentare.
Possiamo citare dei progetti firmati L’Oréal che siano esemplificativi di questo “nuovo corso”? Come L’Oréal Group abbiamo identificato alcuni assi di comunicazione che fanno parte del nostro Dna e che vogliamo rappresentare. I tre principali sono pianeta, persone e innovazione. La nostra strategia di storytelling passa attraverso un processo di “eventificazione” e di creazione di contenuti partecipati. Ecco, quindi, che nascono eventi phygital come L’Oréal For The Future Day, For Women In Science e Beauty Tech Day, o partnership come La Bellezza Ritrovata, sfilata per donne in terapia oncologica. Ognuno di questi eventi ci permette di coinvolgere un gran numero di stakeholder, interni ed esterni. Crediamo che in un mondo della comunicazione complesso i tradizionali steccati informativi e di linguaggio diventino sempre più tenui. Questi eventi sono anche hub informativi che si collegano alle nostre campagne paid, alla costituzione di alleanze con influencer, talent, esperti e istituzioni. Creiamo connessioni forti con i nostri social e i partner editoriali, e studiamo anche iniziative collaterali ad hoc per target specifici, come visite ai nostri laboratori e incontri con i nostri specialisti internazionali di associazioni di consumatori e ambientaliste, in partnership con associazioni di categoria alle quali aderiamo come Centromarca. Senza dimenticare l’advocacy sui nostri partner sociali come San Patrignano, Valemour o Piazza dei Mestieri, attori sociali con cui teniamo a costituire sodalizi di lunga durata per creare una differenza reale a favore delle persone assistite e delle cause coinvolte.
Comunicare i propri valori e impegnarsi per determinate cause di interesse sociale ha l’obiettivo di fidelizzare i consumatori che li condividono. Non si corre il rischio di allontanare chi, invece, ha idee e posizioni differenti?
In un mondo complesso come il nostro le aziende diventano identitarie. Hanno valori forti, progetti sociali, persino sogni. Cercano l’adesione su Sense of Purpose sempre più definiti e chiari. È, quindi, inevitabile che si creino tribù sociali di supporter. E non parlo solo dei consumatori, ma di tutti gli stakeholder. L’importante è essere inclusivi nella trasparenza e nel rispetto delle opinioni. Noi, come azienda, abbiamo un parere e lo esprimiamo, anche se rispettiamo chi aderisce ad altri sistemi valoriali. Penso, per esempio, alla nostra visione sul rispetto delle diversità che ci vede in prima linea, come attivisti sociali.
Paesi diversi hanno culture diverse e, quindi, anche sensibilità differenti in merito a determinati valori. Come fa, una multinazionale, a trovare il giusto equilibrio?
Il concetto di bellezza è diverso in ogni luogo del mondo, in più le necessità di bellezza sono differenti da persona a persona per ragioni anche strettamente fisiche. Noi dobbiamo avere la capacità di comprendere questi bisogni diversi e di proporre soluzioni basate sulla comprensione antropologica e sulla scienza, che è un nostro valore fondativo. Ma questo vale anche per la comunicazione. Nel proporci a livello locale dobbiamo essere in grado di declinare il nostro messaggio nel rispetto delle diverse culture. È intorno al concetto di rispetto che costruiamo i nostri progetti.
Abbiamo parlato di aziende sempre più impegnate, anche su “richiesta” dei consumatori. Eppure, viviamo in un mondo dove spopolano gli influencer e la reputazione ha un ruolo chiave per il successo di un’impresa. Quanto di concreto c’è dietro a tutta questa apparenza?
La reputazione è un concetto molto concreto, che si basa sulla capacità di un’azienda di raccontarsi con correttezza e trasparenza. Noi dobbiamo ai nostri consumatori e agli stakeholder la rendicontazione di quello che siamo e che vogliamo diventare, e le loro richieste ci aiutano a crescere. La nostra capacità deve essere quella di cogliere queste indicazioni sul nascere, ma per riuscirci abbiamo bisogno di alleati, gli influencer, per esempio. Purché si costruisca con loro un percorso comune, che si basi sulla condivisione dei valori prima ancora che sui contenuti di prodotto.
La diffusione dei social network vi permette di comunicare direttamente con i consumatori: è un’opportunità o un ulteriore fattore di complessità?
Come evidenzia l’Edelman Trust Barometer, le aziende e i loro protagonisti sono sempre più considerati fonti informative indispensabili dagli stakeholder. Questo avviene proprio perché esistono sempre più media su cui ci si aspetta di poter interagire con le imprese. È un’opportunità straordinaria, perché non siamo mai stati così vicini ai consumatori. Non dobbiamo avere solo la capacità di parlare a loro, ma di parlare con loro. Di ascoltarli e di rispondere alle loro richieste. È evidente che questo comporti radicali cambiamenti organizzativi e di competenze, ma con evoluzione interessantissime del modo in cui le aziende si presentano al mondo. In questo contesto, i media tradizionali restano un importante stakeholder, che deve essere integrato nel nostro modo di parlare al mondo. Per esempio, per la campagna sul Sense of Purpose, oltre che sul digital, abbiamo investito in print e in eventi in partnership con grandi gruppi editoriali, e la componente legata ai media tradizionali è stata assolutamente essenziale per il suo successo.
Questa intervista è tratta dallo speciale Comunicare è un’impresa, inserto di Business People di settembre. Scarica il numero o abbonati qui
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