Il settore della moda nel 2024 potrebbe rallentare, dopo i due anni di boom post Covid, ma Brunello Cucinelli è ottimista. “Prevediamo una crescita del 10% del fatturato, che è un po’ il nostro standard, perché dal 2012 al 2023 siamo cresciuti del 13% annuo”, ha detto a La Stampa. “Poi il 2023 è stato eccezionale, con una crescita del fatturato compresa tra il 22% e il 23%”.
A settembre l’imprenditore ha festeggiato 70 anni nel borgo umbro di Solomeo, dal 18 dicembre ha fatto il suo ingresso nel FtseMib con il titolo Brunello e una capitalizzazione di 5,7 miliardi di euro e, nell’intervista di Maria Corbi, dispensa positività anche estendendo lo sguardo all’Italia: “Siamo lo 0,7% della popolazione mondiale, ma la settima potenza economica, significa che abbiamo qualcosa in più”.
Per Cucinelli, però, occorre investire sul lavoro e attrarre i giovani. La sua opinione è che, per riuscirci, servano sia salari più alti e giusti sia luoghi di lavoro piacevoli. Il suo monito è “Rivedere le condizioni dell’essere umano al lavoro. Altrimenti il problema che avremo non sarà vendere i prodotti, ma trovare chi produrrà certi manufatti. Quando ero un ragazzo il 76% dei diplomati andava a fare l’operaio e poi c’erano impiegati e manager. Ma adesso tra le persone che conosci quanti faranno l’operaio? Questo è il grande tema e il grande investimento che dobbiamo affrontare”, aggiunge, perché, “le aziende stanno cercando 500 mila persone e non le trovano».
La sua ricetta, visionaria, è questa: “Proviamo a dare ai nostri investitori un progetto di crescita garbata, equilibrando il profitto e il dono dall’altra parte. Una parte dei tuoi profitti li devi ridare all’umanità”. E ancora: “Penso che in certe occasioni i profitti siano troppo alti, dobbiamo riequilibrarci con la qualità del prodotto”.
L’idea dell’imprenditore si riflette quindi nella gestione concreta dei dipendenti. Secondo lui, i turni non devono superare le 7 ore: “Non voglio che dopo le 17,30 si sia connessi con l’azienda e nemmeno il sabato e la domenica. Se ti chiedo una connessione perpetua, chiedendoti di rispondere a un messaggio o a una mail ti sto rubando l’anima. E da noi non si può”.
Infine l’imprenditore della moda commenta le dinamiche di mercato che spingono i marchi Made in Italy tra le braccia dei gruppi esteri: “In Italia ci sono una miriade di aziende, qualcuno vuole vendere a fronte di tanti soldi, altri non immaginano una successione familiare. I marchi diventano di proprietà straniera ma la manifattura è italiana. Ed è questo l’importante. Io non credo che stiamo perdendo pezzi, è il mondo che diventa sempre più globale”.
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