Siamo portati ad associare il made in Italy al cibo e alla moda, ma c’è anche un made in Italy industriale, che produce tecnologie avanzate e che può contare su una ricerca scientifica di altissimo livello: le sue aziende costituiscono la vera essenza economica e sociale del nostro Paese. L’Italia è deep tech nel Dna». È il mantra di Emilia Garito, esperta di trasferimento tecnologico e fondatrice nel 2021, insieme a Domenico Nesci e Paolo Cellini, di Deep Ocean Capital Sgr, società di gestione del risparmio che ha lanciato nel 2023 il fondo di venture capital deep tech Deep Blue Ventures, che ha una dotazione da 41,8 milioni di euro, su un target complessivo di raccolta di 70 milioni da investire nei settori industriali dell’aerospazio e dell’health.
Dna deep tech italiano: a quali settori si riferisce?
Chimica, meccanica, elettronica di precisione, microelettronica, farmaceutica, aerospazio, biotech. Tutti comparti all’avanguardia, connessi a un ecosistema industriale basato su tecnologie avanzate, le cosiddette key enabling technologies: in alcuni di questi settori, già popolati da pmi ipertecnologiche anche quando si tratta di microimprese, l’Italia può sicuramente contribuire alla costruzione della sovranità tecnologica europea.
Perché il deep tech italiano è importante?
Circa il 70% del valore della ricchezza prodotta in Italia (630 miliardi di esportazioni nel 2023) si regge sulle gambe delle industrie tecnologiche (rapporto Ice 2023-2024).
Quali i problemi?
Molte di queste realtà si trovano ad affrontare ostacoli nel loro percorso di crescita, tra cui la mancanza di accesso a capitali coraggiosi e pazienti che possano alimentare la loro espansione. Penso che il venture capital possa giocare un grande ruolo in questo settore.
Come si inserisce in questo contesto il vostro fondo?
Deep Blue Ventures è un fondo di venture capital early stage: investiamo in fase seed e Series A con ticket da 500k a 2,5 milioni di euro in startup nei settori dell’AI, della fotonica, delle cyber technologies e dei materiali per applicazioni aerospaziali e nel settore della salute. Ma il nostro è anche un progetto di venture capital industriale: la nostra missione è far diventare queste aziende (chiamarle startup è riduttivo) la nuova industria italiana.
In che modo?
Pensiamo che il venture capital debba collaborare con altri soggetti che abbiano competenze in questo campo, costruendo una filiera dell’innovazione. Il nostro modello è formato da due componenti: un fondo di venture capital (componente finanziaria) e una serie di collaborazioni con operatori industriali responsabili dell’accelerazione delle startup (industrie, venture builder, venture studio). Convogliamo tutti gli stakeholder interessati, dal giorno in cui la società entra nel nostro portafoglio fino all’exit.
Che cosa la muove?
Sono un ingegnere informatico, ho una lunga esperienza nel campo del trasferimento tecnologico e la mia missione è sempre stata quella di ovviare alle problematiche della filiera interrotta, quella che trasforma la ricerca in impresa. Con questo fondo insieme ai miei soci cerco di dare il mio contributo.