L’intervista a Evangelos Touras, Chief Marketing Officer di Illycaffè, è parte dello speciale
MAI PIÙ SENZA
Se dovesse indicare uno strumento “mai più senza” nel suo lavoro quale sarebbe?
Viviamo sotto la pressione dei risultati, ma non dobbiamo mai dimenticare che concentrarci sul consumatore e sulla soddisfazione del cliente dovrebbe essere il nostro scopo essenziale. Penso che il nostro obiettivo principale dovrebbe essere: come possiamo innamorarci dei problemi dei nostri consumatori e clienti che stiamo cercando di risolvere?
Che cosa è cambiato nel suo lavoro da quando è iniziata la sua carriera a oggi?
Il mondo attorno a noi si è evoluto velocemente nelle ultime decadi, e ancor più negli ultimi cinque-dieci anni. Di conseguenza, anche il marketing ha subito dei profondi mutamenti. Tra questi, direi che tre sono i più importanti. Il primo: in passato esistevano solo le “big corporation” e tutto il resto del mercato vi ruotava attorno. Adesso non è più così: la nascita di Internet e la diffusione della Rete come una piazza e marketplace cui il consumatore e il business hanno libero accesso ha cambiato molte logiche. Ora essere “i più grandi” in un settore specifico non significa vincere sempre la sfida dei consumi: essere un big player non è più garanzia di successo.
Il secondo cambiamento?
Riguarda la tecnologia, e gli spazi in cui essa si muove: penso in particolare al mondo dei social. Un tempo, bastava fare una video curato per una campagna pubblicitaria ed era sufficiente. Adesso ci troviamo di fronte alla necessità di confezionare campagne più complesse, poiché “cucite su misura” per i singoli media. Questo rende il nostro lavoro più difficile, non solo perché bisogna diversificare gli investimenti, ma anche perché bisogna sviluppare all’interno del marketing una creatività capace di adattarsi ai diversi scenari mediatici. Ogni media è come un diverso campo in cui deve essere compiuto un lavoro, e deve essere fatto meglio dei competitor che, come si diceva prima, sono aumentati rispetto al passato.
Veniamo al terzo cambiamento…
Si tratta di un mutamento di stile aziendale che non riguarda solo il marketing, ma tutta l’azienda: non è più possibile una leadership verticale, ora si richiede a chi guida i vari settori grande capacità di empatia e coinvolgimento, anche per catturare i migliori talenti delle nuove generazioni.
Secondo lei, il modo in cui il marketing è concepito in Italia è differente rispetto ad altri Paesi?
Sono greco, ho vissuto in posti diversi e in questo momento mi definisco un esploratore appassionato dell’Italia. Questa mia risposta forse potrà sorprenderla, ma di fatto non esistono sostanziali differenze nel modo in cui le persone nel mondo prendono le loro decisioni di acquisto. O meglio, delle differenze culturali esistono, ma siamo tutti molto più vicini di quel che crediamo. Per quel che riguarda l’“Italian Style”, mi sento di affermare che in ogni settore c’è grande attenzione alla qualità e alla cura dei dettagli. Questo per me è stimolante e mi sento onorato di far parte di un’azienda globale di origine italiana. Spesso, nella mia routine quotidiana, traggo ispirazione da ambiti molto diversi tra loro. Per esempio, entrare in un negozio di un settore completamente differente dal nostro brand mi suscita spesso qualche stimolo nuovo, magari grazie al design del negozio stesso o allo stile con cui vengono accolti i clienti.
Parliamo ora dell’AI, l’argomento che è sulla bocca di tutti: che implicazioni ha nel marketing aziendale? Quali le sue potenzialità future?
Fare previsioni non è possibile in questo momento, ma è certo che l’intelligenza artificiale ha già un grande impatto su tutti i settori delle nostre vite, inclusi quindi gli ambiti professionali. Dal punto di vista del marketing, direi che ci troviamo davanti a una nuova rivoluzione industriale e che tra cinque-dieci anni al massimo cambierà il nostro modo di fare business. Questa cosa mi preoccupa? Non proprio: invece di preoccuparmi sto cercando di essere parte del cambiamento, studiarlo e poi capire come utilizzare al meglio ogni nuovo strumento per risolvere qualsiasi problema aziendale o affrontare nuove opportunità. Per ogni azienda – e ancora più importante per un’azienda come la nostra – è necessario sviluppare una strategia chiara sull’AI, concentrandosi sulle opportunità più essenziali e poi sviluppare casi d’uso che, ammesso che abbiano successo, possano essere scalati al business.
In che modo invece l’analisi nuda e cruda dei dati, per esempio di consumo o di apprezzamento di un prodotto, influisce sulla vostra strategia di marketing?
I dati e la loro analisi restano fondamentali. Al mio team, però, chiedo sempre una lettura approfondita che vada al di là del numero in sé: in che modo sono stati fatti i calcoli? Qual è il comportamento umano che porta ai dati? Ciò significa che sia l’analisi quantitativa che quella qualitativa sono ugualmente cruciali. I numeri e le percentuali devono essere tradotti in comportamento umano, per poi essere utilizzati efficacemente per la comunicazione, l’innovazione e la pianificazione commerciale. Fino a poco tempo fa la parola dominante nel marketing (e non solo) era storytelling. È ancora valido questo approccio? Preferisco iniziare con lo storydoing, e poi con lo storytelling. Lasci che le spieghi perché. Nel mondo di oggi il pubblico è generalmente più scettico verso la comunicazione del brand e mediamente più informato che in passato, e se si vuole realizzare uno storytelling efficace questo deve essere davvero legato ai valori che l’azienda promuove, altrimenti è una pratica inutile, o controproducente.
I social sono ancora così importanti? E gli influencer di prodotto?
Tutto l’ecosistema dei media è importante. Certamente i social sono uno strumento utile per avviare delle strategie di marketing perché permettono alle persone, quindi ai nostri clienti, di interagire con il prodotto. Se mi chiede un giudizio sull’utilizzo di influencer non ho una risposta netta: tutto dipende da come vengono realizzate queste collaborazioni, chi viene scelto. La strategia di base del marketing è quella che deve dare la sostanza. Se penso a illy, un brand che ha molto a cuore il tema della sostenibilità e dell’arte, focalizziamo le nostre collaborazioni con persone con cui abbiamo questo valore in comune, che condividono il modo con cui noi guardiamo il mondo.
Quando si ritiene davvero soddisfatto del suo lavoro?
Anche se sono una persona sempre positiva e proattiva, non sono uno che si accontenta facilmente. Certo, i dati e le metriche di analisi delle vendite o i feedback di una campagna sono importanti, ma la grande soddisfazione arriva quando altre persone, non del settore, parlano del nostro lavoro. È accaduto, per esempio, per il progetto d’arte realizzato all’ultima Biennale di Venezia e non avrei potuto esserne più orgoglioso. Mi considero molto fortunato ad avere una responsabilità così importante su un brand storico come illy: il mio obiettivo è continuare su queste solide fondamenta.
Quali attitudini e capacità dovrebbe avere un giovane per affrontare al meglio questo lavoro?
Questa domanda mi permette di parlare di un tema che mi sta molto a cuore: il futuro della nostra professione e delle generazioni future. Ciò che conterà sarà la capacità di adattamento a un mondo che cambia velocemente. Bisogna essere curiosi e versatili. Non esiste un percorso di studi unico per avere successo, ma credo che studiare all’estero, approcciarsi a diversi linguaggi e culture sia utile ad apire la mente. Suggerisco agli universitari di cercarsi presto un lavoretto, corsi di formazione in un campo che interessa e poi di contattare persone che stimano nell’ambito lavorativo in cui vorrebbero entrare: mandare mail, seguire gli incontri, fare tante domande. Resterebbero sorpresi da quanta gente, anche in ruoli apicali, sarebbe disponibile a offrire consigli preziosi.