L’intervista a Roberto Lobetti Bodoni, Global Chief Marketing Officer di Geox è parte dello speciale
Oggi, quanto è centrale per voi in Geox l’utilizzo di big data dell’A.I. nel settore marketing?
Sul primo fronte, quello dei big data, lavoriamo ormai da più di tre anni. Da allora con Landor&Fitch, la nostra agenzia di brand, applichiamo un modello basato proprio sui big data chiamato Future market modeling, che aiuta a prevedere il comportamento dei consumatori, la dimensione e i principali trend di alcuni segmenti di mercato, per definire una strategia di crescita efficace. È un modello di analisi che tiene conto di fattori sociodemografici e macroeconomici, ma anche di variabili sul comportamento di acquisto. E le sue previsioni si sono finora “magicamente” verificate al decimale. Ovviamente, allora, la prospettiva era di un certo tipo, poi sono intervenuti fattori come conflitti internazionali e inflazione, che rimangono ancora oggi imprevedibili, ma la possibilità di contemplare moltissime variabili e ottenere analisi che tengano conto anche di fattori di lungo periodo risulta molto utile nel nostro lavoro, per questo ne facciamo ampio uso. Più recente, invece, è chiaramente l’approccio all’intelligenza artificiale, che stiamo iniziando a sfruttare in ambito di sviluppo creativo, e anche nel predire serie storiche per aiutarci a prevedere il comportamento del consumatore.
Quella dell’A.I. è la tecnologia più discussa del momento, che tipo di implementazioni potrà credibilmente avere nei prossimi anni nel vostro campo?
So che il dibattito è acceso, ma devo dire che l’intelligenza artificiale non ci spaventa. Nel corso della storia, ogni nuova tecnologia ha ridefinito il lavoro delle persone coinvolte, generando occupazione e nuove professioni, anche se in questa fase è difficile immaginare quali saranno e quali competenze richiederanno. Quel che so per certo, è che oggi nel nostro lavoro bisogna connettersi con il consumatore, analizzare i dati che lo riguardano e capire quali sono le ragioni che lo avvicinano o lo allontanano da un brand. E questo non potrà mai essere delegato completamente a un sistema di intelligenza artificiale. L’A.I. sarà al servizio delle persone nel codificare un comportamento, raccogliere ed elaborare in modo molto più veloce, come non è mai stato fatto in passato, un’enorme quantità di dati che possono servire quando bisogna prendere delle decisioni. O addirittura potremo arrivare a delegarle alcuni compiti. Per esempio, l’intelligenza artificiale generativa ha una buona approssimazione nella costruzione di testi e, addirittura, di immagini. Al momento queste applicazioni sono ancora in una fase di early stage, quindi la qualità dell’output non è ancora paragonabile a quella umana, ma sicuramente lo sarà nei prossimi mesi e anni.
In sintesi, queste nuove tecnologie ci offriranno sempre più aiuto, ma alla fine a prendere le decisioni sarà sempre l’uomo?
Io parto da questa considerazione: sono strumenti che hanno bisogno di un input, di una governance e di una elaborazione umana del risultato. Di conseguenza, offrono un supporto importante alla decisione, ma non gliela si può delegare completamente. Parte del mio lavoro consiste nel coinvolgere il consumatore attraverso uno storytelling e cercare di cambiare il percepito di immagine di brand, o di stimolare un comportamento di acquisto su un determinata categoria: questo non potrà mai essere completamente delegato.
Uno degli elementi decisivi nella realizzazione di una campagna o nella definizione di una strategia di comunicazione è la creatività. Difficile possa sostituirla un software, oppure no?
L’intelligenza artificiale è già in grado di elaborare delle immagini, codificando molto rapidamente la comunicazione degli altri brand, e nel tempo sarà in grado di dare risultati sempre più precisi. Di conseguenza, a livello di presentazione di prodotto e di catalogo potremo senz’altro sfruttare questa tecnologia. Ma se pensiamo all’adv, le pubblicità che rimangono in mente ai consumatori sono quelle che li emozionano. Ecco, i dati quantitativi non potranno mai rendere le emozioni che il consumatore prova in determinati momenti di relazione con il brand. E anche i dati qualitativi ci riescono solo in parte. È lì che l’insight che può generare un’opportunità di business per l’azienda deve essere esploso e che entra in gioco la creatività, quel processo straordinario che trasforma un’immagine o un testo in un qualcosa che “muove” qualcosa nel consumatore. Questo lavoro non potrà mai essere completamente demandato alla tecnologia, per quanto avanzata essa sia.
Un esempio di una campagna che, senza lo “human touch”, non avrebbe mai potuto essere realizzata?
Direi la campagna globale Penelope Cruz for Geox appena lanciata in tutto il mondo. Siamo partiti dai dati consumatore per capire quale fosse il territorio narrativo più adatto, le affinità, l’interesse dei clienti e dei non clienti, scoprendo alla fine che era il cinema. Da qui abbiamo testato quale fosse il volto migliore per Geox, ossia chi potesse interpretare al meglio i nostri valori, e siamo arrivati al nome di Penelope Cruz. A questo punto abbiamo definito con lei una creatività che parlasse sì del nostro brand e dei nostri valori, ma anche dei suoi. Si è sviluppato un processo creativo bellissimo e molto divertente, che ha coinvolto il talent, l’azienda, l’agenzia di comunicazione M&C Saatchi e i nostri prodotti, che è partito sì dai numeri, ma ha sviluppato una forte componente emozionale. In sintesi, la scelta del testimonial discende dai dati, ma poi come il talent dovrà interpretare i tuoi valori attiene a un processo creativo che è figlio di sensibilità capaci di connettersi con le emozioni che il pubblico prova quando è esposto a determinati messaggi.
Anche perché i consumatori non chiedono più “solo” un buon prodotto a un buon prezzo, ma vogliono riconoscersi nei valori del marchio…
Questo è proprio il nodo chiave. Mentre l’automazione funziona perfettamente sul fronte del pricing, del catalogo, del prodotto e del retargeting, quando devi accrescere la consideration del tuo brand attraverso un processo creativo che parli dei suoi valori non puoi prescindere dal fattore umano. Ed è proprio questa la grande sfida del marketing oggi: poter ingaggiare in modo significativo il pubblico attraverso il racconto di sé.
Al momento le aspettative nei confronti della A.I. e del suo sviluppo sono davvero alte, questo rischia di far perdere di vista la centralità del fattore umano?
Molto dipenderà dalle diverse industry, ma dal mio punto di vista penso rappresenti una grande opportunità, molto più del Metaverso di cui si parlava un paio di anni fa. L’A.I. esiste già ed è uno strumento ad altissimo potenziale, che renderà automatici determinati processi, anche decisionali, aumentandone efficacia ed efficienza, ma che non ci sostituirà nel lavoro di brand building. Semplicemente ci aiuterà a migliorare. Ogni nuova tecnologia ha migliorato il nostro lavoro, bisogna solo comprenderla e saperla utilizzare. Ripeto, non vedo rischi, bensì opportunità. Nella mia carriera mi sono occupato di brand molto diversi tra loro, ma ciò che mi riempie di entusiasmo ogni giorno è che il mio mestiere cambia continuamente e la tecnologia mi aiuta a connettermi al consumatore in modo sempre originale. Quindi ho la fortuna di imparare, vedere la mia professione evolvere, attraverso modelli di marketing sempre più efficienti ed efficaci.
Dunque, non c’è il rischio che voi marketers siate sostituiti dall’intelligenza artificiale?
No, temo che dovrete sopportarci ancora per un bel po’… (ride). La verità è che il pubblico compra sempre meno commodity, piuttosto desidera acquistare qualcosa che abbia un significato. Questo aspetto sarà sempre più fondamentale per distinguersi all’interno dello scenario competitivo e per costruire progetti di brand che aiutino l’azienda a essere finanziariamente sostenibile nel lungo periodo.
Questa intervista è stata pubblicata sul numero di Business People di novembre 2023. Scarica il numero o abbonati qui
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