«Per la prima volta dopo circa un decennio i depositi sui conti correnti bancari degli italiani hanno fatto registrare una crescita negativa. Un fatto che non può trovare spiegazione nel solo aumento dei costi dovuto all’inflazione, ma che va ricollegato a una dinamica più complessa». A parlare è Valerio Fallucca, Head of Retail Banking di ING Italia, con alle spalle una lunga esperienza nel settore bancario e degli investimenti.
Può spiegarci allora a quale dinamica fa riferimento?
Da un lato, l’innalzamento dei tassi ha portato a un incremento delle rate dei mutui, motivo per cui diversi risparmiatori stanno decidendo di ridurre la propria esposizione finanziaria. Parallelamente, molti stanno iniziando a spostare il loro denaro su strumenti che promettano un rendimento: lasciarlo sul conto corrente vorrebbe dire correre il rischio che perda valore, mentre, proprio grazie all’innalzamento dei tassi, in questo momento ci sono strumenti d’investimento che stanno andando molto bene. Penso per esempio ai Btp Italia, o in alternativa ad alcuni prodotti offerti dagli istituti bancari. Per esempio, noi proponiamo il conto di deposito Conto Arancio, che è poi quello che ci ha resi famosi in Italia, che permette di avere una liquidità remunerata, tenendola comunque a disposizione in caso di spese impreviste. Dopodiché i clienti con una maggiore propensione al rischio possono anche ambire a far fruttare maggiormente i propri risparmi attraverso un’allocazione in prodotti di investimento più sofisticati. Anche se devo dire che, in genere, più si alzano i tassi più bassa è la propensione a scegliere prodotti complessi, visto che si riescono a ottenere ritorni interessanti anche con prodotti a rischio bassissimo.
In queste situazioni complesse torna più che mai d’attualità la questione della scarsa educazione finanziaria degli italiani. O è ormai un problema superato?
Purtroppo, nonostante gli sforzi fatti negli ultimi anni sia a livello di sistema, sia dei singoli attori, la scarsa alfabetizzazione finanziaria degli italiani è ancora un problema attuale. Basti pensare che in Italia due clienti su tre non prendono mai nessuna decisione sulla gestione dei propri risparmi senza prima confrontarsi con una figura esperta. Questo dato conferma che l’educazione finanziaria è ancora mediamente molto bassa e spiega perché gli italiani sono un popolo di risparmiatori più che di investitori.
Si troverà mai una soluzione?
Ho visto che iniziano a emergere esempi di pillole di educazione finanziaria su social network come TikTok, utilizzati da un pubblico giovane. Credo che la strada giusta sia proprio quella di sfruttare piattaforme innovative per rivolgersi alle nuove generazioni. Dobbiamo farci trovare dove sono oggi le persone, ossia social network e smartphone. Solo utilizzando questi canali possiamo far passare regole elementari in materia finanziaria e di risparmio. Non si pretende che siano tutti esperti, ma che abbiano almeno le nozioni base per gestire in autonomia le operazioni più semplici. Al contrario, per prodotti finanziari di complessità media-elevata probabilmente ricorreremo sempre e comunque al supporto di un esperto.
Forse i conti di deposito, come Conto Arancio, possono rappresentare un primo passo per chi è più diffidente nei confronti di un investimento vero e proprio?
Sicuramente. Alla fine, parliamo di un salvadanaio digitale molto semplice da usare, il cui rendimento è trasparente e che dà la possibilità di ritirare i soldi in qualunque momento. Per questo credo rappresenti lo strumento finanziario giusto per iniziare ad avere un approccio più informato alla gestione dei propri risparmi e magari accumularli nel tempo in funzione dei propri dei propri obiettivi.
Anche in campo pubblicitario vi siete sempre distinti per i toni ironici e il linguaggio semplice. Stile che ha contraddistinto anche la recente campagna con Elio e le Storie Tese. Avvicinare il mondo bancario alla gente comune è la filosofia di base di ING?
Da sempre siamo famosi per l’approccio un po’ dissacrante nei confronti di un mondo che a volte appare molto “ingessato”. Questo proprio perché la nostra filosofia è quella di essere sempre vicini alla gente comune, attraverso un linguaggio semplice e diretto, talvolta anche con un po’ di ironia.
Prima accennava alla crescita delle rate dei mutui. Secondo lei cosa si devono aspettare nel futuro prossimo i risparmiatori?
Le stime parlando di una ulteriore progressiva crescita dei tassi fino a fine 2023, seguita da una stabilizzazione nel 2024 e poi da una diminuzione negli anni a seguire. Chi aveva un mutuo a tasso variabile ha visto la sua rata letteralmente schizzare verso l’alto, per questo molti stanno chiedendo una rinegoziazione o il passaggio al tasso fisso. Ora, se è vero che un tasso fisso protegge da eventuali ulteriori rialzi, bisogna però tenere sempre presente che il mutuo è un finanziamento a lungo termine, di conseguenza se l’attesa è che nel lungo periodo i tassi tornino a scendere, non è escluso che convenga comunque mantenere il tasso variabile. A patto naturalmente di poter sostenere per un certo periodo rate più elevate.
Come si inserisce in questo contesto la sostenibilità?
Registriamo da parte dei clienti un interesse via via crescente, ma non so dire fino a che punto sia dovuto a una reale sensibilità personale o sia guidato da un indirizzo regolatorio. Sono comunque ancora poche le persone disposte a pagare un surplus per iniziative di questo tipo.
Voi siete stati pionieri del digital banking, soprattutto in Italia. A distanza di più di 20 anni come è cambiato il modo di fare banca e come sono cambiati i risparmiatori?
Oggi essere digital non è più sufficiente per avere un posizionamento distintivo, perché più o meno tutti offrono una proposta digitale. Ora la competizione si basa sul tipo di esperienza che si è in grado di offrire. Per quanto riguarda, invece, il comportamento degli italiani siamo sicuramente migliorati tantissimo, ma restiamo molto indietro rispetto agli altri Paesi. Se è vero che il 45% dei nostri consumatori dichiara di utilizzare regolarmente un conto online, è anche vero che la media europea è del 60% e che la percentuale supera il 90% nei Paesi Nordici. Dunque, la conclusione è che abbiamo intrapreso la strada giusta, ma in Italia non siamo ancora nella nuova era digitale.
È cambiato anche il modo di lavorare in banca?
Può sembrare scontato, ma il nostro modo di lavorare è stato fortemente influenzato dalla pandemia. Se in precedenza parlavamo di introdurre lo smart working uno o due giorni la settimana, con il lockdown ci siamo ritrovati a lavorare costantemente da casa, contact center incluso. Da allora non siamo più tornati indietro, nel senso che oggi applichiamo quello che chiamiamo smart working super flessibile: non c’è una regola, ciascuno decide dove lavorare in base a i compiti da svolgere, concordandolo ovviamente con il proprio manager di riferimento. Non solo questa scelta non ha avuto ripercussioni a livello di produttività, ma siamo tutti più contenti, perché si riesce a gestire molto meglio il bilanciamento tra vita privata e lavorativa. Se guardiamo, invece, alle competenze richieste, cerchiamo sempre più quelle legate ai dati e al mondo Tech. Ultimamente il gruppo sta iniziando ad assorbire anche competenze in intelligenza artificiale, per capire come questa possa essere impiegata in modo efficace, soprattutto nella sfera del supporto al cliente. Per il futuro immaginiamo una funzione completamente automatizzata sul fronte delle operazioni più semplici, mentre la componente umana rimarrà centrale nel lavoro di advisory per i prodotti più complessi. Certo, magari cambierà il mezzo utilizzato per questo tipo di interazioni, ma certi prodotti di finanziamento o d’investimento richiederanno sempre l’intervento umano. Non a caso abbiamo lavorato – e lavoriamo ancora – attivamente per costruire una rete di Financial Advisor giovani e capaci, che condividano il linguaggio e gli strumenti di elezione dei Millennial, ormai target principale di questo tipo di servizi.
Un’ultima domanda. Lei nel tempo libero è un appassionato di Ironman, uno sport che richiede grande resistenza sia a livello fisico che mentale. Questo tipo di allenamento le torna utile anche sul lavoro quando ci sono da affrontare dei momenti critici?
Parliamo di gare che possono durare anche più di dieci ore, dove oltre alla resistenza fisica è importante mantenere alta la concentrazione, un aspetto molto utile a livello professionale nella gestione delle crisi. È anche vero che questo è uno sport individuale, mentre in un ambiente come quello della banca a fare la differenza è il lavoro di squadra: alla capacità di mantenere alta la concentrazione sotto stress per lunghi periodi va abbinata la consapevolezza di avere accanto un team con cui collaborare per raggiungere i risultati.