Se, come sostiene Luca Bernabei, «la serialità è la Formula 1 della tv» (e lo è), la Lux Vide è come una Ferrari in grado di rappresentare l’Italia all’interno del torneo audiovisivo globale. Fondata da Ettore Bernabei nel 1992, la società si è fin dall’inizio distinta per le sue produzioni dal respiro internazionale: il primo titolo è stato il kolossal La Bibbia , che negli anni 90 ha unito ebrei, cristiani e musulmani in un progetto congiunto senza precedenti. Da lì in poi le coproduzioni hanno continuato a essere un fiore all’occhiello della società, come per esempio la saga I Medici e la serie sulla finanza Diavoli , ma anche i contenuti realizzati per il mercato domestico hanno finito per far spesso parlare di sé all’estero. Il caso più eclatante, e recente, è Doc : il medical drama con protagonista Luca Argentero, trasmesso da Rai Uno, è stato venduto in tutto il mondo e avrà anche un remake americano. Per non parlare del fenomeno Don Matteo che, alla 13esima edizione, ha registrato oltre 6 milioni di spettatori, nonostante l’addio di Terence Hill, il cui ruolo è passato a Raoul Bova. Il portafoglio di successi vantato dalla LuxVide è tale che più volte, nel corso dei suoi 30 anni di attività, la società è stata corteggiata da buyer stranieri. Alla fine, a spuntarla è stata la multinazionale Fremantle che, lo scorso marzo, ha chiuso un accordo di acquisizione con la società della famiglia Bernabei, inglobandola nella propria orbita: un cambio di passo che, oltre a certificare il valore della società, dimostra come non sia più, o solamente, il mercato seriale italiano a corteggiare quello straniero.
L’anniversario dei primi 30 anni della Lux Vide ha coinciso con l’ingresso nel gruppo Fremantle. Che tipo di mandato avete ricevuto?
Il gruppo Fremantle rappresenta un’interessante case history nel mondo della produzione, perché nasce come società specializzata nell’intrattenimento tv che poi decide di aprirsi alla serialità. Per farlo, ha attuato una strategia chiara e lungimirante: cercare le migliori realtà che ciascun Paese può offrire e con esse dare vita a una congregazione di case di produzione, chiamate sister companies . Si tratta di un interessante cambio di passo, perché in un mondo sempre più competitivo, avere sister companies con cui confrontarsi, scambiare informazioni su tendenze e artisti, ideare progetti comuni, rappresenta un plus valore che fa la differenza. Quanto al nostro ruolo all’interno della Fremantle, la nostra linea editoriale è sempre stata molto internazionale e ora lo sarà ancora di più. Continueremo a fare quello che sappiamo fare meglio: un prodotto largo o, come si dice in termini tecnici, broad . Un prodotto multi-target, con un altissimo livello qualitativo, che sia competitivo nei mercati internazionali. E che, tra l’altro, è ora anche molto richiesto dalle grandi piattaforme streaming. Non ci dimenticheremo mai del nostro prodotto “local” che deve però ora girare il mondo.
Per funzionare, le serie tv devono avere sostanzialmente due cose: un high concept , ossia un’idea molto forte alla base, e un efficace meccanismo di serialità. Prendiamo per esempio il caso della nostra serie Blanca : il concept di partenza è di grande impatto, perché la protagonista è una donna non vedente che entra in polizia. Grazie a tutti gli altri sensi, Blanca riesce a cogliere e vedere cose che agli altri sfuggono: ha sviluppato una sorta di super potere. Questo è il meccanismo di serie, diciamo così “esterno”, ma il vero motore emotivo è il messaggio di cui Blanca si fa portatrice: ognuno di noi ha un limite ma tale debolezza può diventare una ricchezza. Sono le nostre mancanze che ci rendono speciali. Questo concetto, ripetuto in ogni puntata è, secondo me, il motivo per cui le persone guardano Blanca . Detto questo, un tratto specifico delle serie Lux Vide è la ricerca del bello. Mio padre Ettore ha fondato la Lux Vide con la volontà di raccontare la Bellezza insita nella vita. Era lo sguardo di un uomo di fede, che io e mia sorella Matilde abbiamo portato avanti e fatto nostro. Da qui, la ricchezza anche visiva delle nostre serie, che sono girate in location mozzafiato.
Si è mai chiesto come mai il vostro modello non abbia fatto scuola in Italia?
Il fatto è che, per realizzarlo, servono grandi investimenti. Noi ci abbiamo impiegato 20 anni, facendo la scelta di non ridistribuire gli utili ma utilizzarli per realizzare delle strutture che rimanessero nel tempo. Questa è stata la grande intuizione di mio padre: seguire un capitalismo non predatorio. D’altronde lui è figlio della generazione di quei manager delle partecipazioni statali, che pensavano al bene comune. Ecco, questa scelta etica di mio padre si è rivelata la ricchezza della Lux. Credo che Fremantle ci abbia scelto anche per questo.
Quali sono le produzioni che incarnano al meglio la vostra linea editoriale nel XXI secolo? Sicuramente i titoli che parlano del Bello, come Medici e Leonardo , ma anche le serie fortemente drammaturgiche che riescono a restituire un’efficace fotografia di questo secolo: penso per esempio a Diavoli , la cui terza stagione parlerà della stretta attualità. Inoltre, non posso non citare Doc e Blanca , che schierano nuovi eroi, ossia persone che eccellono nel loro lavoro ma pensano sempre al prossimo anziché alla propria affermazione personale. Ultimo, ma non ultimo, Don Matteo , che alla 13esima edizione, si conferma la più importante serie tv italiana, nonostante il cambio del protagonista.
Pensando quindi al futuro, cosa può e cosa deve essere fatto, soprattutto a livello istituzionale, per rendere più competitivo il comparto?
In Italia è stato già fatto molto, grazie anche all’introduzione del Tax Credit. Ora è importante che l’utilizzo degli aiuti statali venga monitorato e che, a livello locale, si rafforzi l’operato delle Film Commission.
Suo padre Ettore è scomparso sei anni fa: cosa pensa direbbe della Lux Vide di oggi?
Credo e spero che ne sarebbe fiero. Io e mia sorella Matilde abbiamo faticato molto per mantenere le nostre radici senza snaturarle. Abbiamo tenuto duro, persino quando ci dicevano che i nostri prodotti erano obsoleti. Ora quegli stessi titoli sono considerati moderni. Ancora oggi, però, credo che mio padre ci chiederebbe: «Qual è la ragione per cui fai questa serie tv?». Ce lo domandava sempre, per ogni progetto, perché lo scopo di questo lavoro non è solo fare ascolti, ma lasciare qualcosa (una domanda, una speranza, una risposta) nel cuore degli spettatori.
Questa intervista è tratta dal numero di Business People di ottobre 2022