A 85 anni, Henry Mintzberg si potrebbe definire il grande saggio del mondo delle organizzazioni. Cleghorn Professor of Management Studies alla McGill University di Montreal (Canada), è stato premiato dalle più prestigiose istituzioni accademiche e professionali e ha ricevuto 20 lauree honoris causa da università di tutto il mondo. Da oltre 50 anni studia le organizzazioni nelle loro molteplici forme, i diversi modi in cui vi si lavora, il ruolo dei manager e i loro dilemmi, la loro evoluzione sulla spinta dell’economia o della tecnologia. Studi che lo hanno portato a pubblicare (come autore o co-autore) ben 15 libri. Uno in particolare, pubblicato nel 1979, The Structuring of Organizations: A Synthesis of the Research, in cui individuava le quattro forme organizzative basilari, viene studiato ancora oggi. Il suo ultimo lavoro, Capire le organizzazioni… alla buon’ora! – edito in Italia da FrancoAngeli –, riprende e arricchisce il lavoro pubblicato 45 anni fa, mantenendo lo stile ironico e penetrante che lo ha sempre contraddistinto. E proprio in occasione del tour di presentazione di questo nuovo titolo, abbiamo avuto modo di incontrarlo.
Professor Mintzberg, per prima cosa, chi dovrebbe leggere questo libro e perché?
Tutti, per il semplice fatto che tutti viviamo circondati da organizzazioni: dagli ospedali alle scuole fino alle imprese funebri permeano tutta la nostra vita. Sono realtà in cui ci imbattiamo ogni giorno, entro cui troviamo la nostra personale realizzazione, per le quali soffriamo o con cui ci scontriamo. Per questo dobbiamo imparare a comprenderle. È scioccante quanto poco le conosciamo. Ecco perché non è un libro che dovrebbe interessare solo chi vuole fare il manager, ma chiunque.
Quando si riferisce alle organizzazioni utilizza termini come “imparare”, “pensare”, “pianificare”… dunque le considera organismi viventi?
Certo, le organizzazioni non sono altro che gruppi di persone che lavorano insieme per raggiungere determinati obiettivi. Dunque, sono organismi viventi, comunità di persone che, nelle loro versioni migliori, lavorano come una comunità.
Nel 1979, nel suo libro The Structuring of Organizations: A Synthesis of the Research, proposena rappresentazione alternativa al classico organigramma, illustrandone i molteplici vantaggi. Perché, secondo lei, dopo 45 anni, vengono ancora irrimediabilmente usati gli schemi tradizionali?
Perché è più semplice. Soprattutto quando si vuole cambiare l’organizzazione, anche se poi questo non porta alcun risultato reale. Mi spiego meglio con un esempio concreto. Nel mondo della sanità, il National Health Service of England è in costante riorganizzazione. Eppure questo non porta mai differenze sostanziali. Il motivo è semplice. Cambiare continuamente la struttura amministrativa dà l’idea che si stia facendo qualcosa, ma alla fine questi mutamenti in buona parte non influiscono sulla struttura professionale, ossia sul lavoro del personale sanitario, che agisce seguendo specifici protocolli medici. Cambiare la raffigurazione gerarchica dell’organizzazione è semplice e veloce, ma non efficace. E questo vale per tutti i tipi di organizzazione.
Nel suo ultimo libro analizza con precisione i diversi compiti di un manager. Secondo lei quali sono le qualità e abilità essenziali per svolgerli al meglio?
Di fronte a una domanda del genere in genere ci si aspetta una lista di cinque, massimo sette elementi, perché è questa la lunghezza di una lista facilmente gestibile dal nostro cervello. In realtà, analizzando con attenzione la questione, sono arrivato a un elenco di ben 52 qualità. La verità è che nessun essere umano potrà mai averle tutte, ma è anche vero che diversi lavori richiedono diverse qualità. Un conto è gestire una squadra di calcio, un altro un’università o un hotel. In ciascuna organizzazione saranno fondamentali alcune qualità, mentre altre saranno meno importanti. Sempre tenendo conto del contesto, bisogna poi combinare i punti di forza di ciascun manager con quelli deboli.
Sempre a proposito di management, nel libro dice che i manager devono trovare un “equilibrio dinamico”. Cosa intende?
Molto di ciò che è fondamentale nelle organizzazioni, compreso il modo in cui si prendono le decisioni, in cui si creano le strategie e il modo in cui i manager agiscono, può essere descritto come il risultato dell’incontro di tre differenti approcci ai problemi: quello artistico, quello org e quello scientifico. È qui che avviene il management. Ma non è il manager a dover trovare il perfetto equilibro tra i tre aspetti, quanto l’organizzazione. Se un certo manager è più forte da un certo punto di vista, l’importante è che trovi un equilibrio attraverso il lavoro degli altri membri del team. Per esempio, se un imprenditore è un vulcano di nuove idee originali va benissimo, ma è fondamentale che ci siano dei suoi collaboratori che tengano d’occhio numeri e bilanci.
Qual è, per lei, la parte più importante del libro?
Direi quella in cui individuo le quattro forme basilari: impresa personale, macchina programmata, assemblea di professionisti e progetto pioneristico. Questo perché è fondamentale che le persone comprendano che le organizzazioni possono essere estremamente diverse tra loro. Per esempio, nello stesso settore, diciamo quello sportivo, convivono realtà davvero differenti. Una squadra di football americano propende più verso la macchina programmata, mentre una di baseball si può definire un’assemblea di professionisti. E, ancora, lo yacht racing è generalmente un’impresa personale. È necessario, se voglio comprendere un’organizzazione, studiare di che tipo è e agire di conseguenza.
C’è un messaggio finale che vuole lasciare?
A parte l’importanza delle quattro forme, è che le buone organizzazioni sono comunità di persone e non meri insiemi di risorse umane.