Nerio Alessandri: intervista al fondatore di Technogym

Non intende insediare una fabbrica fuori dall’Italia (anzi, da Cesena). Eppure ha conquistato le Olimpiadi di Pechino. E prima quelle di Sydney, Atene e Torino. Parla Nerio Alessandri, il fondatore di Technogym

Buono, è buono. Però se gli si dice che è buonista diventa un po’ meno buono. Si può dire che la sua sia una bontà aggressiva, di quelle che è impossibile contraddire. Parla sorridendo, lavora divertendosi. E non è così frequente. «Sono fatto così», commenta. Sorridendo, ovviamente. Ad aver “prodotto” il Nerio Alessandri che tutti conoscono devono es­sere stati tre elementi decisivi: l’attività fisica (e cos’altro, sennò?), l’aria delle colline romagnole (che è sempre un bel respirare) e quella sorta di tranquilla sicurezza che emerge ogni volta che esprime un concetto, un’idea.

Alessandri, fondatore della Technogym, ad esempio, parla sem­pre all’indicativo presente, raramente al futuro, mai al condizionale. Al passato solo su richiesta. È stupefacente, ma, conoscendolo, nemmeno così strano, che la Technogym sia stata scelta come unico fornitore uf­ficiale esclusivo delle Olimpiadi cinesi battendo decine di altre impre­se, di tutti i settori, provenienti da tutto il mondo.

Ed è stupefacente, ma, ancora, non così strano, conoscendolo, che la sua azienda, fondata in un sottoscala appena raggiunta l’età che permette di usare contem­poraneamente una chiave inglese e una saldatrice, cresca a ritmi medi del 20% l’anno in termini di fatturato. Nel 2007 la Techogym di Gam­bettola, in provincia di Forlì-Cesena, ha chiuso il bilancio a quota 385 milioni di euro con un export che ha raggiunto ormai l’87% del totale della produzione.

La Cina, ovviamente, è l’area che è cresciuta mag­giormente: più 120% rispetto all’anno precedente, seguita dagli Emirati Arabi, più 65%. Nei suoi circa 20 anni di vita la Techno­gym ha attrezzato circa 35 mila centri wellness (guai a chiamarli palestre o, peggio, centri fitness) nel mondo e 20 mila abitazioni private utilizzando esclusivamente il canale della vendita diretta. Anche questo è abbastanza stupefacente ma, conoscendolo, non sembra affatto strano. I suoi 1.500 dipendenti (che sono aumen­tati di 175 unità nel 2007) lo guardano come un guru. Non de­v’essere molto diverso lo sguardo che devono avere i dipendenti della Apple quando ascoltano Steve Jobs.

Cavaliere Alessandri, che cosa è la leadership?
Il leader, per definizione, è il primo. Il primo innovatore, il pri­mo a rispettare i valori dell’impresa, il primo a prendersi le re­sponsabilità, il primo a motivare gli altri. In una parola la leader­ship è l’autorevolezza che scaturisce dalla passione. La passione, almeno nel mio caso, è connaturata al carattere. Specialmen­te per l’imprenditore la passio­ne è una caratteristica che fa parte di sé.

Quindi la sua passione è il lavoro?
È migliorare la vita delle perso­ne per questo credo che la no­stra impresa faccia parte di un ordine superiore, perché non si tratta di fare solo industria, di produrre, vendere ed esportare. Noi facciamo riferimento a un modello culturale, quello del wellness, del sentirsi bene.

Ma il “sentirsi bene” è esclusivamente il prodotto del benesse­re fisico. Non crede?
Guardi, esistono decine di ricerche, soprattutto americane, che dimostrano che il sentirsi in forma anche fisicamente, stimola la creatività e la lucidità di pensiero. Aiuta a prendere decisioni in modo più rapido. E poi ci si ammala di meno. In questo senso il wellness, il concetto di sentirsi bene a 360 gradi, aiuta a vivere.

Dica la verità, quella di migliorare la vita delle persone è una passione che le è nata prima o dopo aver fondato Technogym?
Si tratta di valori che mi sono stati insegnati dai miei genitori, che mi porto sempre dietro e che, ovviamente, ho cercato di in­stillare nella mia azienda. Da sempre credo nei valori dell’umil­tà, della tenacia e dell’onestà, da cui discende poi la passione che uno riesce a mettere in ciò che fa.

Che legame c’è tra questa passione e il modello organizzativo che lei ha dato alla sua impresa?
Le faccio un esempio pratico. Fin dall’inizio, abbiamo deciso di non vendere i nostri prodotti attraverso i punti vendita tradizio­nali perché non ci garantivano quel livello di servizi che voleva­mo assolutamente raggiungere, non ci permettevano, o rendeva­no molto più difficile, mantenere un legame, un rapporto con i nostri clienti. In questo senso abbiamo visto che il punto vendi­ta spersonalizza la relazione con chi entra e compra. Per questo continuiamo a proporre le nostre attrezzature attraverso altri ca­nali. Crediamo nel direct marketing che ci consente di far capire al cliente che noi non vendiamo prodotti ma soluzioni.

Parliamo della Cina. La Technogym sarà l’unico sponsor tec­nico delle Olimpiadi che inizieranno in agosto. La prima do­manda è: come ci è riuscito?
Tanto per cominciare abbiamo dovuto battere la concorrenza di decine di altre aziende, sia americane sia cinesi. Questo mi rende orgoglioso del lavoro mio e di tutte le persone che lavorano con me. Credo che ci siamo riusciti grazie a un lavoro straordinario iniziato molto tempo fa. Però, se vogliamo parlare più in gene­rale, abbiamo iniziato a vincere fin dal momento in cui Techno­gym è stata fondata, più di 20 anni fa. Già fin dall’inizio c’erano i presupposti perché fossimo riconosciuti leader.

Sarà stata anche una que­stione di investimenti…
Si, certo: in questa avventu­ra abbiamo investito diversi milioni di euro.

E che tipo di ritorno si attende?
Questa per noi è la quar­ta Olimpiade e ci aspettia­mo, come è successo per le precedenti esperienze, un ri­torno di notorietà mondia­le. Ad esempio: attrezziamo centri di wellness che saranno fre­quentati da più di 12 mila giornalisti, metteremo in piedi 25 palestre per la preparazione di 25 mila atleti di tutto il pianeta e saremo anche l’unico marchio che avrà diritto a esporre all’in­terno del villaggio olimpico. Con queste premesse mi aspetto uno straordinario salto di qualità in termini di riconoscibilità.

Dopo le Olimpiadi, come aggredirà il mercato cinese?
Intanto noi siamo già presenti in Cina e, naturalmente, ci reste­remo anche dopo le Olimpiadi. Per il momento ci appoggeremo alla nostra organizzazione, già esistente, e che già ci sta dando grandi soddisfazioni. Il mercato cinese è talmente enorme…

Infatti. Immagino trasferirete centri produttivi. O no?
No. La produzione Technogym resterà a Cesena.

Siete un’impresa autarchica. Come fate a produrre a Cesena prodotti che vanno poi in tutto il mondo?
Lo abbiamo sempre fatto e continueremo così. Infatti ci stiamo ingrandendo. A breve sarà pronto il nostro Technogym Villa­ge, si tratta di un campus di 60 mila metri quadrati sulle colline di Cesena dove troveranno posto il nostro centro di ricerca, il centro design e la produzione vera e propria. Sarà un campus, il Wellness Campus, in stile americano. Da qui usciranno tutti i nostri prodotti che andranno poi in tutto il mondo.

In un mondo globalizzato lei decide di restare locale.
Dipende cosa intende per globalizzazione. Ad esempio, i nostri manager vengono da tutto il mondo, da Chicago, da Cipro, da Londra. Dal punto di vista del management siamo, al contrario, un’azienda mondiale. Dal punto di vista della presenza internazionale pure: abbiamo 13 sedi commerciali e di rappresentanza in altrettanti Paesi che ci permettono di esportare quasi il 90 per cento della produzione. E, quindi, anche da questo punto di vista siamo globalizzati. Poi, è vero, diamo grandissima importanza al nostro territorio. Sono conscio, ad esempio, che esistono degli stakeholder che vanno al di là della compagine azionaria della società come le Università e la società che gravita attorno all’azienda. Se vuole può definirci “glocal”.

Rispetto a 21 anni fa, è più facile o più difficile fare impresa in Italia? Oggi sarebbe possibile la nascita di Technogym?
No, sarebbe impossibile, ma semplicemente perché l’azienda è nata grazie a un incontro di fattori contingenti, una sorta di alchimia che sarebbe irripetibile oggi.

Ok, ma la mia domanda è sulle condizioni esterne che rendono più o meno facile fare l’imprenditore oggi in Italia.Fare l’imprenditore è sempre stato e sempre sarà difficilissimo. Era più facile fare l’imprenditore negli Anni ’60? Mah, non credo. Quindi la mia risposta è: sì, oggi, anche oggi, è difficilissimo.

Che cosa dovrebbe fare la politica per agevolare lo spirito imprenditoriale degli italiani?
Cito solo tre emergenze. La prima è aumentare il grado di flessibilità del lavoro. La seconda è sviluppare l’innovazione e la ricerca. La terza è affrontare seriamente il problema scuola.

La scuola è un problema?
La scuola è un corpo estraneo rispetto alla società e alle esigenze delle imprese.

Lei prima ha parlato di umiltà. Rivedendo le sue dichiarazioni, si scopre che lei non parla mai male di nessuno e, a quanto risulta, anche in privato sono rari i momenti in cui parte all’attacco di qualcuno o qualcosa. È un buonista?
No, è il mio modo di essere, il mio carattere.

Lei che cosa pensa dei suoi colleghi imprenditori? C’è chi dice che siano poco coraggiosi, poco innovatori, poco globali. Insomma, da un certo punto di vista i suoi colleghi sono il contrario di ciò che lei rappresenta.
Io li rispetto tutti.

Non faccia il buonista. Non sarà che dice così anche perché è stato citato da Luca Cordero di Montezemolo come possibile ottimo presidente della Confindustria.
No, guardi, non è per quello. Li rispetto tutti perché fare impresa è un mestieraccio. È difficilissimo e si rischia del proprio e quando va male nessuno poi ti viene ad aiutare. Eppoi, francamente, non sono d’accordo con la visione che si ha della classe imprenditoriale italiana. Tutto sommato alcune aziende sono oggettivamente riconosciute come le migliori del mondo.­

Lei si è sempre tenuto una certa distanza con il mondo finan­ziario. Ad esempio, non ha mai parlato con grande entusia­smo della Borsa, anche se non ha escluso la possibiltà di arri­varci, un giorno. Quale è il suo rapporto con la finanza?
Sono totalmente focalizzato sulla mia impresa. A partire da questo punto fermo, non è vero che disdegno la finanza e che non voglio avere rapporti di tipo anche finanziario. Techno­gym è presente, ad esempio, nella banca d’affari Tamburi, ab­biamo una quota nel fondo Charme, nel gruppo Burani. Ma sono state scelte dettate più dal desiderio di mettermi in rap­porto con altre realtà, che come semplici investimenti finan­ziari. In altre parole, investo se serve al gruppo. Questa è l’uni­ca logica che mi guida.

Lei è stato il più giovane Cavaliere del Lavoro nella storia della Repubblica…
L’unico quarantenne…

Le piacciono i riconoscimenti?
Questi tipi di riconoscimenti sono dei punti di partenza. I ri­conoscimenti ai quali tengo veramente sono quelli dei miei collaboratori, quelli di chi lavora con me o dei miei clienti. Delle persone che mi stanno intorno, che rappresentano il mio mondo, insomma. E il riconoscimento migliore è quan­do ti viene attribuita la leadership al di là di chi sei e di che cosa rappresenti.

Recentemente lei ha dichiarato di voler fare “un passo indie­tro”. Ad appena 47 anni vuole già fare “un passo indietro”?
Più che altro vorrei che i miei manager facessero un passo avanti. Non vorrei fare la fine di quegli imprenditori che a 80 anni ancora sono lì a guidare la loro impresa. A me interessa far crescere chi mi sta intorno.

Immagino che in questo ragionamento rientri anche la pos­sibilità di fare entrare nel capitale della Technogym un so­cio finanziario.
In qualche misura, ma non abbiamo tempi definiti per questo. E comunque sarebbe funzionale a sviluppare la Technogym con acquisizioni magari in Usa.

Non è che pensa di fondare una nuova azienda, magari in un settore completamente diverso?
Idee ne ho tantissime, quello che mi manca è il tempo.

LE PASSIONI DI ALESSANDRI
Libro
Il vecchio e il mare di Ernerst Hemingway
Film
Il cacciatore di aquiloni di Marc Forster
Piatto
Un terzo di pasta, un terzo di pesce, un terzo di verdure
Squadra
Il Cesena
Musica
U2
Vino
Evoca della cantina Altavita (che è mia)
Luogo
Cesena
Hobby
Jogging

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