Se l’imperativo categorico di ogni azienda è quello di creare valore, non è detto che di quel valore le imprese sappiano cosa farsene oltre a metterlo a bilancio, ovvero come valorizzarlo anche per il futuro del proprio business. È proprio di questo che si occupa Accenture a livello globale. Considerata la più grande società di consulenza al mondo – anche se alla luce dell’evoluzione della società questa definizione le sta stretta – Accenture ha chiuso l’anno fiscale 2024 con ricavi pari a 64,9 miliardi di dollari e conta più di 800 mila dipendenti al servizio dei suoi clienti in oltre 120 Paesi, di cui oltre 24 mila in Italia distribuiti nelle sue cinque sedi principali e diversi altri uffici sul territorio nazionale. Da settembre 2024, a guidarla nel nostro Paese con responsabilità anche per i mercati della Grecia e dell’Europa Centrale c’è Teodoro Lio, manager con una solida esperienza nel settore e una visione chiara su come l’intelligenza artificiale e l’innovazione possano e debbano ridefinire i modelli di business per creare valore.
In questa intervista, Lio condivide con Business People le sfide e le opportunità che il mondo aziendale ed economico si trovano oggi ad affrontare, soffermandosi sulle strategie per rendere l’AI una leva di crescita concreta e sostenibile. E, nonostante tutto, non nasconde un certo ottimismo per il futuro del nostro Paese.
In Accenture vi presentate come promotori dell’innovazione e creatori di valore. Cosa significa?
Sono i concetti chiave alla base del nostro Dna. Questo significa che ci impegniamo costantemente a combinare tecnologia e ingegno umano per generare valore a lungo termine per i nostri clienti e l’intero ecosistema. Il nostro obiettivo non si limita però esclusivamente ai risultati finanziari, ma si estende alle molteplici dimensioni del valore: dalla valorizzazione dei talenti alla sostenibilità, fino all’inclusione. Per noi, innovare significa proprio questo: sfruttare al meglio le tecnologie disponibili e le competenze delle persone per guidare trasformazioni significative e creare un impatto positivo su tutti i fronti.
In un contesto in cui le novità, soprattutto in ambito tecnologico, si presentano ed evolvono in modo sempre più accelerato, come si distingue la buona dalla cattiva innovazione?
Non utilizzerei il termine cattiva innovazione finché questa resta nei binari della responsabilità, ma è vero che, anche quando ci si muove all’interno di tali confini, è fondamentale distinguere l’innovazione capace di creare valore da quella fine a sé stessa. Noi siamo per un’innovazione finalizzata a risultati concreti e, aggiungo, di lungo periodo. A volte, l’accelerazione dell’innovazione può portare a innamorarsi della tecnologia fine a sé stessa, il che non vuol dire che sia cattiva, ma di certo non è utile.
A proposito di tecnologia… parliamo dell’Accenture Technology Vision 2025: cosa emerge dalla fotografia di quest’anno?
Pubblichiamo questo report da diversi anni e se l’intelligenza artificiale rientrava tra i trend emergenti già negli ultimi due o tre – a testimonianza del fatto che non si tratta di una novità assoluta –, ora che ha raggiunto una certa maturità si è affermato come un catalizzatore di crescita e trasformazione. Oggi parliamo di autonomia dell’AI, perché, superata la fase dei progetti pilota e degli esperimenti, è finalmente arrivato il momento di portarla a scala nelle aziende pubbliche e private. Quest’anno vediamo quattro trend principali. Il primo riguarda l’espansione esponenziale dell’intelligenza artificiale nelle aziende, al punto da rivoluzionarne tutto il sistema tecnologico e le sue applicazioni. Il secondo evidenzia la necessità di differenziare e personalizzare l’AI, perché al momento sperimentiamo interfacce tutte uguali, mentre i brand devono riuscire, attraverso gli agenti di AI, a preservare la loro voce per non perdere la propria identità. Il terzo trend guarda ai nuovi scenari della robotica che vede i robot adattarsi a diversi compiti senza necessità di riprogrammazione e affrontare situazioni complesse con maggiore autonomia. Infine, ma non meno importante, c’è il tema dell’apprendimento. Perché alla base dello sviluppo di un’AI in grado di creare valore, c’è la fiducia nei confronti di questa tecnologia, e la fiducia può nascere solo dalla conoscenza.

In azienda dal 2001, da settembre 2024, ricopre il ruolo di a.d. di Accenture Italia e membro dell’Executive Leadership Team di Accenture a livello mondiale come Market Unit Lead della regione Iceg, che comprende Italia, Europa Centrale e Grecia (Foto © Valerio Pardi)
Non a caso lei ha dichiarato che l’AI rappresenta una delle sfide più importanti dei prossimi anni. Quali sono, secondo lei, le opportunità e i rischi che porta con sé?
Se la wave tecnologica che ha caratterizzato l’ultimo decennio è stata quella della digital transformation, oggi stiamo vivendo quella dell’AI, che è caratterizzata da una velocità incredibile sia sul fronte della sua adozione che del suo potere trasformativo. Parlo di potere trasformativo perché l’AI non agisce solo sulla produttività, ma contemporaneamente su produttività e competitività. L’intelligenza artificiale implica la necessità e la possibilità di reinventare servizi e modelli di business creandone di nuovi. Quindi, da un lato, il potenziale di valore è estremamente alto, dall’altro è necessario rivoluzionare aziende e intere filiere. E tutto questo implica una sfida rilevante in un contesto in cui non si parte da zero, ma da ecosistemi già esistenti che coinvolgono persone, processi, procedure… Le sfide che vedo sono essenzialmente tre, a cui se ne aggiunge un’altra. La prima è riuscire a valorizzare tutto il patrimonio idi conoscenza di un’azienda per creare quello che definiamo digital cognitive brain, affinché il capitale dell’azienda venga “dato in pasto” a modelli e algoritmi per creare qualcosa di unico e differenziante. Infatti, non vogliamo avere diversi chatboot che diano la stessa risposta in maniera più o meno accurata, ma fare la differenza valorizzando con l’AI le specificità di ogni organizzazione. La seconda sfida è far sì che le imprese abbiano un’architettura strutturata che consenta di far lavorare insieme agenti digitali e persone in maniera efficace. Questo richiede di non pensare più per silos, ma di fare uno sforzo di ristrutturazione che coinvolga l’intero modello operativo dell’azienda. Terza sfida sono le competenze, perché l’AI non lavora da sola, ma con e per le persone. E perché questo accada non solo abbiamo bisogno di professionisti che sappiano sviluppare l’AI, ma anche di persone che sappiano utilizzarla. E qui arriviamo al tema della formazione cui accennavo prima. Il “più uno” cui mi riferivo è un tema trasversale, quello di un’intelligenza artificiale etica, che rispetti un quadro regolatorio che non sia meramente quello imposto dai governi, ma sia costituito da policy che ci portino a farne un utilizzo appropriato. Perché è indubbio che l’AI sia uno strumento estremamente potente e, come tutti gli strumenti potenti, può incorrere anche in usi malevoli.
Mi par di capire che implementare l’AI significhi ottenere sì grandi vantaggi, ma a costo di un importante lavoro di ristrutturazione non solo dei processi, ma della stessa architettura aziendale. Come si pongono le imprese di fronte a questa necessità?
Su questo fronte siamo giunti a un punto di svolta: qui e ora si creerà la differenziazione tra le imprese che adotteranno questo nuovo paradigma per prime e che ne approfitteranno in futuro in termini di competitività. Al momento, per una questione di accesso alle competenze, sono soprattutto le grandi organizzazioni che stanno sperimentando l’intelligenza artificiale, ma solo il 36% lo sta facendo su larga scala e di queste appena il 13% ha già costruito un valore importante a livello enterprise. Quindi, ribadisco che è tempo di uscire dalla fase di sperimentazione per avere il coraggio di adottare l’AI coinvolgendo tutta la popolazione aziendale. L’intelligenza artificiale non è qualcosa da far sviluppare altrove e poi calare in azienda, va progettata partendo dal know how esistente e dalle proprie persone, aiutandole ad affrontare questo cambiamento con un’opera di reskilling personalizzata.

Il Corporate Center di via Bonnet a Milano, una torre di 20 piani e 15 mila metri quadrati inaugurata nel 2021
Proprio in ottica di reskilling è nata la vostra piattaforma LearnVantage. Come funziona?
È un’iniziativa su cui abbiamo investito e investiamo ancora proprio perché, anche se la tecnologia gioca un ruolo chiave per la reinvenzione del business, sono le persone a determinarne il successo. E perché questo accada devono avere le competenze necessarie. Noi stimiamo che l’intelligenza artificiale vada a impattare sul 40% delle ore lavorate in Italia, che vuol dire circa 9 milioni di persone. Ed è evidente che non saranno 9 milioni di persone “nuove”, ma persone che sono già nel mercato del lavoro e necessitano di formazione. LearnVantage è una piattaforma basata sull’AI che ci permette di fare upskilling e reskilling, individuando i gap e i percorsi giusti per colmarli con nuove competenze. Solo così potremo cogliere davvero i vantaggi offerti dall’intelligenza artificiale.
Negli ultimi due anni Accenture ha totalizzato ben sei acquisizioni in Italia. Quali sono le motivazioni alla base di questa strategia? Ne sono previste altre?
La nostra strategia di sviluppo prevede un mix tra crescita organica e acquisizioni e ci permette di creare valore ecosistemico e cogliere opportunità di mercato. Nessuna delle acquisizioni portate a termine negli ultimi due anni, compresa quella più recente del Gruppo IQT, è stata conclusa per crescere di dimensioni. L’obiettivo è sempre quello di accelerare la crescita acquisendo competenze uniche e distintive, andando a presidiare settori verticali dove si registra una crescita importante e c’è quindi lo spazio per accelerare ulteriormente, o ancora dove rileviamo sinergie vincenti, ossia servizi che uniti ai nostri possano creare nuovo valore. Non dimentichiamo, poi, che l’altra valenza delle acquisizioni è quella di attirare investimenti nel nostro Paese. Con le sei operazioni che abbiamo concluso negli ultimi anni abbiamo, infatti, attirato nuovi capitali per consentirci di crescere ancora in Italia. Di conseguenza, anche se non posso entrare nel dettaglio, posso dire che continueremo sicuramente per questa strada e i settori d’interesse saranno sempre quelli relativi al nostro business e alle industry più strategiche per il futuro del Paese.
Accenture è la più grande società di consulenza strategica al mondo. Come è cambiato e sta cambiando il vostro lavoro in un mondo sempre più complesso, caratterizzato da cambiamenti repentini e crisi multiple?
Da un certo punto di vista credo che il nostro lavoro continui a evolvere velocemente, dall’altro, allo stesso tempo, si può dire che rimanga sempre uguale. Intendo dire che i suoi cardini non sono cambiati: tecnologia, ingegno umano e valore per l’ecosistema. Cambiando però l’interpretazione del valore da parte delle aziende e, soprattutto, la tecnologia a disposizione, è mutato il nostro modo di combinare questi elementi e la natura dei servizi che offriamo. Per di più, con l’evolversi della tecnologia, è diverso anche il suo posizionamento nelle aziende: prima i nostri interlocutori erano i Chief Technology Officer, oggi l’AI è un tema da Ceo e da board. Tanto che oggi la definizione di società di consulenza ci sta un po’ stretta, perché non ci limitiamo a consigliare cosa andrebbe fatto, ma siamo in prima linea insieme alle aziende clienti, attraverso collaborazioni e joint venture. Tutto questo rende sempre più interessante il nostro lavoro lavoro.
La vostra multinazionale ha una visione globale e un punto di osservazione privilegiato sui trend economici e di innovazione. In un contesto caratterizzato da forti cambiamenti e incertezza, quali sono, secondo lei, gli elementi chiave che influenzeranno l’economia europea e italiana nei prossimi anni?
L’accelerazione dei cambiamenti geopolitici e macroeconomici di questo periodo non ha precedenti e quindi, inevitabilmente, genera un clima di incertezza nel quale risulta difficile fare previsioni. Detto questo, credo si possano comunque individuare dei trend. Innanzitutto, una rotazione dei settori sotto la lente d’ingrandimento che certamente proseguirà: rimarranno centrali temi come la difesa, la space economy, la sanità. È poi probabile che ci saranno cambiamenti dal punto di vista europeo, anche se non è ancora certo se porteranno effettivamente a una maggiore unità e a una maggiore coesione di agenda tra i diversi Paesi del Vecchio Continente. Infine, sul fronte delle imprese, stiamo vivendo una nuova ondata rilevante di M&A che ridefinirà i confini delle aziende. Nonostante l’incertezza, si continuano a registrare investimenti e opportunità, e questo è un segnale positivo. Rimane in ogni caso la necessità di essere attenti e sempre pronti a valutare quello che accadrà e adattarsi di conseguenza.

Uno scatto della sala immersiva del Generative AI Studio di Accenture a Roma
Quindi, se dovesse dare un consiglio alle aziende su come affrontare questa incertezza, quale sarebbe?
Credo sia necessario riuscire a combinare una visione strategica di ampio respiro con un’agilità nel breve periodo.
E se guardiamo alla situazione economica del nostro Paese, lei è più ottimista o pessimista?
Io sono sempre ottimista e lo sono sicuramente anche adesso. Come Paese, in questi anni abbiamo dimostrato forte resilienza. È chiaro che l’export finora ci ha aiutato e che oggi è un settore su cui aleggia incertezza. C’è poi un altro punto di forza che viene troppo spesso sottovalutato, ed è quello del capitale umano. Detto questo, è innegabile che si debbano affrontare sfide importanti legate alla dimensione assoluta dell’Italia, che senza l’Europa difficilmente può rappresentare un player di peso, al nostro tessuto imprenditoriale frammentato e al tema demografico. Abbiamo però anche l’opportunità di cogliere i vantaggi dell’innovazione, e in particolare dell’AI, proprio per sopperire ad alcune di queste difficoltà. Credo sia una sfida che dobbiamo assolutamente cercare di vincere come Paese.
Noi italiani sul fronte dell’adozione delle nuove tecnologie non arriviamo in ritardo di solito?
In parte è vero, ma ci sono anche casi positivi, come per l’adozione del telefono mobile in cui siamo stati pionieri. Inoltre, se penso alla quantità di talenti italiani che all’estero ricoprono posizioni di rilievo nelle industrie di semiconduttori o nel mondo della ricerca, mi viene da dire che a volte su di noi siamo più critici del necessario. Sicuramente nel nostro Paese la situazione è eterogenea, perché alle eccellenze si affianca un digital divide molto ampio, che rischia di diventare un AI divide, il che rappresenterebbe un forte limite. Quindi non mancano le sfide, ma non dobbiamo nemmeno dimenticarci dei nostri tanti punti di forza.
Per vincere determinate sfide, manager e imprenditori giocano un ruolo cruciale. Quali doti saranno indispensabili perché siano in gradi di trainarci verso il futuro?
Credo serva una combinazione di diversi fattori. In primis direi il coraggio: coraggio di guardare alla crescita, di avere ambizione, di creare la positività necessaria. Un leader deve poi anche essere responsabile verso i propri talenti e la società. Terza dote, in questo momento, non può che essere l’agilità di saper leggere rapidamente le situazioni e reagire di conseguenza, per rispondere velocemente alle sfide che arrivano perlopiù inattese. Alla luce di tutto questo sono, infine, convinto che per un leader sia indispensabile coltivare la capacità di continuare a imparare, perché non c’è nessun libro e nessuna Business School che insegnino a navigare in questi contesti.
A proposito di leggere il mondo che cambia… Se negli ultimi anni sostenibilità e diversity hanno dettato le agende delle imprese, ora, complice una tendenza che arriva dagli Stati Uniti, tante aziende stanno rivalutando i loro percorsi. Anche Accenture ha comunicato evoluzioni nelle sue strategie di I&D. Quale è il vostro punto di vista a riguardo?
Come Accenture abbiamo preso una posizione chiara in merito. A livello globale abbiamo modificato l’implementazione di determinate policy e alcuni obiettivi quantitativi in tema di Inclusion & Diversity, perché era necessario adeguarsi al nuovo contesto normativo. Il nostro quadro di policy deve evolversi e adattarsi alle leggi emanate dalle istituzioni elette dai cittadini. Questo però non significa che siano cambiati i nostri valori. Il focus su diversità e inclusione resta al centro della nostra strategia dei talenti, che a sua volta è al centro della nostra strategia di business. Attirare e trattenere talenti e dare opportunità di crescita a una forza lavoro il più eterogenea possibile non sono cose che facciamo perché è richiesto dalla nostra policy, ma perché siamo convinti che creino valore per noi e per l’ecosistema. Così come sono nostri valori fondanti il rispetto dell’individuo e la volontà di creare un ambiente inclusivo in cui ciascuno dei nostri oltre 24 mila dipendenti in Italia abbia la possibilità di trovare la sua strada e soddisfare le sue aspirazioni, senza che nessuno sia discriminato. Questi sono i nostri valori e ci teniamo a ribadirli pur dovendoci, come dicevo, adeguare a un quadro normativo in evoluzione che in questo momento non è omogeneo nelle diverse regioni in cui operiamo.
Teodoro Lio – Strettamente personale

© Valerio Pardi
So che è appassionato di vela e viaggi. Riesce ancora a trovare il tempo per coltivare queste passioni da quando è diventato Ceo nel settembre 2024?
Ci provo. Penso che nella vita ci siano una sfera lavorativa, una sfera strettamente personale e una familiare e che sia necessario trovare il giusto bilanciamento tra tutte. Certo, non è sempre facile trovare il tempo e, senza dubbio, gli ultimi sei mesi sono stati molto intensi. Bisogna comunque cercare di continuare a coltivare le proprie passioni, così come di spendere tempo di qualità in famiglia, per trovare il giusto equilibrio.
A questo proposito, qual è stato il suo ultimo viaggio? E quale il più “indimenticabile”?
Di viaggi potremmo parlare a lungo. Di recente sono volato in Asia, in Thailandia in particolare. L’Asia è un continente che amo molto, dove per lavoro ho trascorso diversi anni e dove torno sempre con grande piacere. Nella mia vita ho avuto la fortuna di fare molti viaggi in luoghi bellissimi, come la Patagonia, ma restano ancora tanti quelli da programmare…
È nato a Torino ma lavora a Milano. Cosa ama di più delle due città?
Sono molto legato a entrambe. Milano è una città che ha tutte le qualità di una metropoli internazionale in una dimensione contenuta: offre opportunità, uno stile di vita piacevole, un network interessante. Torino offre una qualità della vita a volte sottovalutata, che consente di vivere nel verde pur rimanendo molto vicini alla città, cosa più difficile a Milano. E poi ha l’enorme vantaggio di essere vicina sia alla montagna sia al mare.
Intervista pubblicata sul numero di Business People di aprile 2025. Scarica il numero o abbonati qui
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