Carbon Major: 36 compagnie fossili causano metà dell’inquinamento globale

Secondo i dati, nel 2023 le emissioni globali di CO2 provenienti da combustibili fossili hanno raggiunto cifre da record, in aumento rispetto all'anno precedente

Il nuovo report pubblicato sulla piattaforma Carbon Majors rivela le responsabili dell'inquinamento globale© Shutterstock

La metà dell’inquinamento prodotto dalle emissioni globali di anidride carbonica proviene dai combustibili fossili prodotti da appena 36 aziende: secondo un recente rapporto pubblicato sulla piattaforma Carbon Majors, nel 2023 queste multinazionali hanno generato oltre 20 miliardi di tonnellate di CO2. Tra le compagnie più responsabili figurano Saudi Aramco, Coal India, ExxonMobil, Shell e diverse società cinesi.

Addirittura, se fosse una nazione, la sola Saudi Aramco risulterebbe il quarto maggiore inquinatore al mondo, dopo Cina, Stati Uniti e India: l’entità delle emissioni prodotte da queste società sono talmente cospicue da mettere in discussione gli impegni globali sulla riduzione dell’inquinamento e solleva interrogativi sul futuro della transizione energetica. Il report sottolinea il peso crescente delle aziende statali, che rappresentano la maggior parte degli inquinatori globali: dei 36 gruppi industriali individuati, infatti 25 sono a partecipazione statale e 10 hanno sede in Cina. Il carbone si conferma come la fonte più impattante, con il 41% delle emissioni complessive, seguito dal petrolio (32%) e dal gas naturale (23%).

La top ten delle compagnie fossili

Lo studio è stato condotto da InfluenceMap e pubblicato nel marzo 2025, come aggiornamento annuale del database Carbon Majors. I dati si basano sulla produzione diretta di combustibili fossili e sulla CO2 emessa dalla loro combustione. Come dicevamo, la compagnia più inquinante del 2023 è risultata essere Saudi Aramco, con 1,839 miliardi di tonnellate di CO2. Seguono Coal India (1,548 miliardi), CHN Energy (1,533 miliardi), National Iranian Oil Company (1,262 miliardi) e Jinneng Group (1,228 miliardi). Queste cinque aziende da sole sono responsabili del 17,4% delle emissioni globali.

La top ten di Carbon Major

La top ten. Per il resto della classifica si rimanda al report di Carbon Majors

Al sesto posto troviamo Gazprom, seguito da China Cement, Rosneft, Cncp e Shandong Energy. ExxonMobil e Chevron, le due maggiori compagnie petrolifere statunitensi, figurano rispettivamente al quindicesimo e diciottesimo posto. Tra le aziende europee spiccano TotalEnergies e BP, mentre l’italiana Eni occupa una posizione più arretrata, pur rientrando tra le 36 principali.

Il contenuto dello studio

Il rapporto evidenzia come le emissioni di queste aziende siano in crescita nonostante gli impegni internazionali per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Nel 2023, il settore carbonifero ha contribuito al 41,1% delle emissioni globali, seguito dal petrolio con il 32% e dal gas naturale con il 23%. Il comparto del cemento, spesso trascurato, ha registrato il maggiore aumento relativo, con un incremento del 6,5% rispetto all’anno precedente.

Un dato rilevante riguarda il fatto che 93 delle 169 compagnie analizzate abbiano aumentato le loro emissioni rispetto al 2022, mentre solo 73 le hanno ridotte. Come abbiamo già accennato, l’incremento maggiore si è registrato tra le aziende statali, che controllano oltre il 52% delle emissioni globali. Lo studio suggerisce che l’industria fossile continui a espandersi, ignorando gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e mettendo a rischio la possibilità di contenere l’aumento delle temperature globali entro il limite di 1,5 gradi Celsius.

Gli obiettivi futuri e le risposte

La comunità internazionale ha fissato obiettivi ambiziosi per ridurre le emissioni, ma l’inerzia del settore fossile mette in discussione la loro realizzabilità: l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha ribadito che qualsiasi nuovo progetto di estrazione di carbone, petrolio o gas è incompatibile con la neutralità climatica entro il 2050. Eppure, la maggior parte delle compagnie coinvolte nello studio continua a espandere la propria attività, senza reali piani di riduzione della produzione.

Sul fronte aziendale, alcune compagnie come Shell hanno dichiarato di voler raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma molti esperti mettono in dubbio l’efficacia dei loro piani. La sfida per il settore energetico si gioca quindi su due fronti: da un lato, la crescente richiesta di energia e la resistenza ad abbandonare i combustibili fossili; dall’altro, l’esigenza di affrontare la crisi climatica e il rischio finanziario associato a investimenti non sostenibili. Il futuro delle grandi compagnie fossili dipenderà dalla loro capacità di adattarsi alla transizione energetica senza compromettere la stabilità dei mercati e dell’economia globale.

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