Il Green Deal, pilastro della politica della Commissione europea a guida Ursula von der Leyen, è stato uno dei temi più divisivi della campagna elettorale. Con l’avanzata delle destre, che hanno contrastato con forza il “patto verde”, che ne sarà di questo programma? È davvero arrivato al capolinea o andrà avanti comunque, anche se con molti rallentamenti e correzioni?
Secondo buona parte degli analisti, la completa retromarcia appare improbabile e la riconferma della Von der Leyen corrobora questa tesi. In termini di seggi, la maggioranza della prossima legislatura è in fondo la stessa che l’ha sostenuta nel suo primo mandato, considerando che Ecr, che ingloba gli europarlamentari di Fratelli d’Italia maggioranza relativa in Italia, alla fine non l’ha votata. La premier Giorgia Meloni ha detto di non aver condiviso «né il merito né il metodo» che ha portato al mandato bis per la presidente, ma ha augurato buon lavoro alla neoeletta e questo non dovrebbe incidere troppo sui rapporti tra Roma e Bruxelles. Si vedrà.
Quel che è certo è che non ci dovrebbe essere una vera frenata sul Green Deal, anche sulle norme considerate più controverse come il divieto di vendita delle auto a benzina e diesel a partire dal 2035 e la cosiddetta direttiva sulle “case green”. «Gli obiettivi più ampi e di lungo periodo come quello della carbon neutrality entro il 2050 non verranno smantellati», dice Antonio Villafranca, vicepresidente per la ricerca dell’Ispi. «Mentre per gli interventi nel breve termine molto probabilmente ci sarà una revisione delle tempistiche e degli oneri rispetto agli attuali target. E si riapriranno alcuni dossier, come quello della direttiva sull’efficientamento energetico degli edifici e delle norme che vietano la vendita di nuove auto a benzina e diesel a partire dal 2035».
La revisione del Green Deal e le sfide economiche
Un chiaro segnale di come sia cambiata la sensibilità era arrivato però prima del voto: negli ultimi mesi il Ppe aveva mutato prospettiva sul tema della sostenibilità e nel suo programma elettorale ha proposto una radicale riforma della Pac e si è impegnato per un’Europa in cui «il Green Deal non è un’ideologia, come sostengono i verdi o i socialisti». D’altronde, l’attuale “patto verde” sul fronte della dimensione industriale e sociale presenta delle carenze innegabili, come evidenzia anche il rapporto sulla competitività presentato dall’ex premier italiano Mario Draghi, incaricato dalla stessa Commissione Ue di redigerlo. La dimensione economica industriale e quella sociale andranno affrontate seriamente e la revisione del Green Deal può essere l’occasione per farlo.
Quello che non si potrà fare è pensare di ripartire da zero, smontando l’assetto del piano, l’Europa non può permettersi di non fare nulla o di rallentare il processo, sia per le implicazioni climatiche che questo avrebbe sia per una questione di competitività dell’industria europea e delle imprese che hanno già intrapreso la transizione. Per inaugurare il suo secondo mandato da presidente della Commissione europea, von der Leyen ha presentato la sua visione di Europa: «Più forte, che offre prosperità, che protegge le persone e che difende la democrazia», ha detto in plenaria al Parlamento Ue, di fronte a tutte le forze politiche, «che garantisce equità sociale e sostiene le persone, che attua quanto concordato in modo equo. E che si attiene agli obiettivi del Green Deal».
La dimensione economica industriale e sociale dell’Europa andranno affrontate seriamente e la revisione del Green Deal può essere l’occasione per farlo
Per raggiungere la transizione verde, dunque, serve solo un aggiornamento del vecchio piano. Con uno nuovo specifico «Clean Industrial Deal per industrie competitive e posti di lavoro di qualità» già entro i primi 100 giorni del mandato (che avrà inizio entro novembre). Non manca il tempo per affinare le specifiche regole. Dal discorso di von der Leyen si è colta la volontà di ridurre l’impatto delle emissioni di CO2, al contempo rilanciando le imprese e tutelando il settore agricolo. L’obiettivo è tagliarne almeno il 90% entro il 2040, così da trovarsi a buon punto con il traguardo Net Zero del 2050.
Le nuove risorse e la spinta verso una transizione verde
Gran parte delle risorse saranno reperite allo scopo di investirle in nuovi piani di infrastruttura per i settori più energivori, e nuovi controlli e permessi serviranno per accertarsi che la nuova normativa europea non abbia effetti negativi sulle piccole e medie imprese del tessuto industriale in Ue. Le sfide della nuova agenda, in particolare la sicurezza climatica, richiederanno anche la promozione e la creazione di nuovi posti di lavoro di alta qualità. Nel contesto della votazione, la von der Leyen non ha ancora fatto riferimento al comparto auto, per il quale la scadenza è fissata al 2035 con lo stop ai veicoli a diesel e a benzina per lasciare spazio all’elettrico. Potrebbe essere nell’agenda della presidente, come dichiarato più volte dal suo partito Ppe, di pensare a una revisione del regolamento per far entrare anche i cosiddetti e-fuel, carburanti sintetici di nuova generazione – voluti anche dal Ppe, partito della presidente – che non derivano da fonti fossili, sfruttando ancora i motori a combustione.
Per quanto riguarda le risorse finanziarie, «l’Europa ha bisogno di maggiori investimenti», ha ammesso von der Leyen: «Dall’agricoltura all’industria. Dal digitale alle tecnologie strategiche. Ma anche più investimenti nelle persone e nelle loro competenze». Così ne ha promessi di nuovi nel prossimo bilancio 2020-2034, confermando un ampliamento, ma senza riferimenti diretti a cifre. Appoggiando l’idea avanzata da Enrico Letta, la presidente della Commissione Ue ha parlato dell’unione del mercato dei capitali, specificando che le transizioni hanno bisogno della «mobilitazione dei privati. Ogni anno 300 miliardi di euro di risparmi Ue finiscono all’estero a causa dell’eccessiva frammentazione del nostro mercato».
Gli industriali europei sono diventati d’altronde i maggiori critici. Le trenta pagine di linee guida, presentate da Ursula von der Leyen, poco prima della sua conferma alla guida della Commissione Ue, che risposte offrono? Molte nuove idee, ma un enorme nodo irrisolto. È incoraggiante la parte dedicata alla semplificazione delle norme e procedure per assicurare ai 24 milioni di piccole e medie imprese una partecipazione attiva al mercato unico. Si accolgono le indicazioni di Letta: ci sarà un vicepresidente della Commissione dedicato alla semplificazione, si mira a introdurre un codice dedicato alle pmi, il cosiddetto 28° regime del mercato unico, visto che oggi qualunque impresa voglia incardinare un ramo d’azienda in un altro Paese Ue deve adempiere a tutte le sue norme nazionali su lavoro, contribuzione, tassazione, previdenza, sicurezza. Il che è la negazione di un mercato unico. «I problemi vengono quando si arriva al Green Deal. Nessun accenno alla riforma degli Ets che prezzano a costi altissimi e crescenti le emissioni di CO2, vera mannaia sul collo degli energivori. Ottimo voler abbassare le asimmetrie dei costi elettrici per famiglie e manifatture nazionali, asimmetrie che oggi vedono la bolletta italiana costare in media il doppio di quella Ue, e in alcuni mesi fino a cinque volte di quella spagnola e tre volte rispetto a quella francese. Ma nessun vero impegno a realizzare presto un acquirente unico europeo», ha scritto Oscar Giannino sul quotidiano La Repubblica. Sul Green Deal ha pesato molto la trattativa con cui i Verdi all’ultimo minuto hanno salvato la presidente dai franchi tiratori della sua maggioranza. E, dunque, ora passeranno all’incasso. Nessuna smobilitazione del piano, nonostante le pressioni.
Il nodo dei minerali critici nella transizione
La transizione green spinta dalle rinnovabili rischia di far diventare l’Europa fortemente dipendente dalla Cina. È il caso dei minerali critici (raw materials), input essenziali e non sostituibili per le tecnologie verdi, ma caratterizzati da un elevato rischio di fornitura a causa dell’alta concentrazione geografica delle riserve e dell’intera catena di valore. L’Ue è fortemente dipendente. A marzo 2024 il Consiglio Europeo ha approvato il Critical Raw Materials Act, che punta a ridurre la dipendenza da Paesi terzi, in testa Pechino. Per far ciò, l’Ue cercherà di favorire l’estrazione, la raffinazione e il riciclo all’interno dell’Unione. Tuttavia, l’autarchia non è possibile né auspicabile visti i tempi necessari e i costi. Per questo l’Ue sta lavorando per diversificare le forniture attraverso partnership strategiche. È cruciale che l’Unione favorisca una diversificazione lungo tutta la catena del valore e non esclusivamente all’estrazione, in modo da ridurre il ruolo cinese nella lavorazione e raffinazione dei minerali.
Articolo pubblicato sul numero di Business People di ottobre 2024. Scarica il numero o abbonati qui
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