La nuova ricerca di Fondazione Terzjus con Unioncamere “Riconoscere il volontariato di competenza, analisi e strategie per valorizzare una pratica emergente” si è concentrata sul volontariato di competenza, un’opportunità poco conosciuta, mappando per la prima volta il fenomeno, anche con l’obiettivo di costruire un ponte tra le imprese e il terzo settore.
La pratica, in sostanza, prevede che il datore permetta al dipendente di occuparsi di attività al servizio della comunità in orario di lavoro ma fuori dall’azienda. Finora solo 4 mila e 90 imprese con più di 50 collaboratori hanno acconsentito: si tratta del 5% del totale, pari a 81 mila 870. Si registra inoltre l’interesse di tre aziende medio grandi su dieci (21 mila 320).
In teoria l’impresa dovrebbe far tesoro di questa occasione per migliorare la propria reputazione, soprattutto in termini di risultati di sostenibilità e di buona gestione delle risorse. Il lavoratore a sua volta dovrebbe accrescere il proprio benessere e sentirsi motivato.
C’è anche un beneficio concreto per le aziende, cioè la possibilità di dedurre fino al 5xmille del costo dei dipendenti che fanno volontariato. A usufruire del volontariato di competenza sono soprattutto le imprese del Sud e del Centro, mentre al Nord si preferisce la partecipazione a community.
I Centri di servizio (Csv) hanno un ruolo centrale nella gestione di questa pratica, perché fanno da intermediari tra le aziende e le persone. Intanto si lavora a un decreto sulla certificazione delle competenze di chi fa volontariato.
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