Presidente, il problema della discrepanza tra formazione universitaria ed esigenze delle imprese è davvero così serio?Se il motivo del contendere è la necessità di un raccordo più stretto tra le esigenze del mondo dell’impresa e dell’università, posso dire che esistono già numerosissimi casi in cui la stessa progettazione dei corsi di studio è effettuata in stretto raccordo con le associazioni degli imprenditori e le esigenze del mondo produttivo in generale. La Crui ha inoltre già avviato diverse iniziative, come la Borsa della ricerca o la riproposizione, lo scorso anno, dell’accordo con Confindustria (vedi box in fondo all’intervista), che pone tra gli obiettivi quello di facilitare il matching tra imprese e mondo universitario. Anche diverse regioni hanno attivato con successo progetti per tirocini e stage formativi presso le aziende. In più, il ministero dell’Istruzione ha da poco inaugurato un portale unico (www.universitaly.it, ndr) per la presentazione dell’intera offerta universitaria. Per le imprese sarà uno strumento ricognitivo importante. Insomma, da questo punto di vista mi sembra che il percorso sia ben avviato. Altro discorso, molto delicato, ma che non compete all’università, riguarda le figure professionali che le imprese reclutano. Negli ultimi anni lo “spread” tra diplomati e laureati, dal punto di vista retributivo, si sta assottigliando; per vari motivi, presumo anche per il costo del lavoro, ci troviamo di fronte a un’omologazione, agli occhi dell’impresa, tale per cui i laureati non sono più valorizzati. Anche questo è un problema molto serio.
Dunque l’introduzione degli stage curriculari è stata utile per mettere in relazione università e mondo del lavoro? Senz’altro. Naturalmente sarebbe meglio se il tirocinio potesse garantire, mediante una convenzione, una percentuale di assumibili presso quella stessa impresa. Purtroppo, oggi come oggi, credo lo impedisca l’incontrollabilità e l’imprevedibilità del mercato del lavoro.
Cosa potrebbero fare le imprese per aiutarvi? Dovrebbero vincere la diffidenza nei confronti della capacità degli atenei di fornire davvero competenze utili per le loro esigenze. Parliamoci chiaro, le università non sono deputate a costruire profili professionali per la singola azienda, sarebbe un fallimento se fossero esclusivamente al servizio dell’impresa. Però uno strumento formativo condiviso, per esempio il tirocinio, può essere quel momento in più che qualifica una preparazione generale – non generica! – per le esigenze di quell’impresa o di quel gruppo di imprese. Formare insieme, questa secondo me è la parola chiave.
In effetti l’impressione è che da parte delle imprese ci sia un po’ di sospetto verso alcune lauree ritenute troppo teoriche o superate… Non c’è dubbio, l’ho verificato spesso. Però mi sono accorto, nel rapporto proficuo con Confindustria, che queste diffidenze, lavorando insieme, si possono vincere. Per esempio, nel corso dell’ultimo incontro, l’associazione ha testimoniato di aver registrato esperimenti positivi di rapporto con le imprese per i laureati in filosofia. Mi ha fatto piacere, ma onestamente non me lo aspettavo.
Gli altri Paesi condividono le stesse difficoltà? Non vedo sostanziali diversità nel rapporto imprese-università tra noi e l’estero, soprattutto sul fronte europeo. E non abbiamo nulla da invidiare sul fronte. Non a caso, se i nostri giovani non li assumono le imprese italiane, li accolgono quelle degli altri Paesi, dove c’è una richiesta di figure specializzate che, evidentemente, le università italiane riescono a soddisfare. La differenza è che all’estero la specializzazione dei laureati è tenuta in maggior conto anche sul piano retributivo. Mentre in Italia, curiosamente, sembra ci sia una sorta di rifiuto dell’impresa di avere al proprio servizio un’alta specializzazione.
Quindi non c’è un altro Paese da prendere a modello? Secondo me abbiamo già tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno. Anzi, dico di più, abbiamo un federalismo regionale che, al di là delle ultime vicende giudiziarie, dovrebbe essere un facilitatore dell’interrelazione tra territori, in modo simile a quanto avviene in Germania, dove vige una forte differenziazione tra i land anche sul fronte del sostegno alle università e dei loro rapporti con le imprese. Certo, il modello tedesco ha un valore in più: una forte industria dall’effetto trainante e un altrettanto forte diritto allo studio, due elementi carenti nel nostro Paese.
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LA BORSA DELLA RICERCA |
L’iniziativa, proposta dalla Crui, è pensata per costruire un network tra ricercatori e R&D manager, attraverso un format di interazione in grado di favorire il trasferimento di tecnologia e innovazione. In particolare, il portale della Borsa (www.borsadellaricerca.it) ha l’obiettivo di stimolare e supportare la nascita di connessioni costanti tra università e aziende ed è attivo tutto l’anno, con informazioni e servizi, eventi fisici e virtuali. Ogni anno si svolge poi il Forum della Borsa della ricerca, che nel 2012 si è tenuto a Bologna dal 16 al 18 maggio coinvolgendo ricercatori da 30 atenei, 60 aziende e oltre 250 delegati da tutto il mondo. Nel corso della manifestazione sono stati presentati 500 progetti di ricerca e si sono tenuti 800 incontri one-to-one. |