Sarkòmania

Dopo la Parmalat ecco dove puntano i colossi francesi: Edison e Generali. Ce la faranno? Probabile, perché i cavalieri bianchi latitano, le regole non ci sono e le banche non entrano in campo. Cosa succede dopo la conquista di Collecchio da parte della Lactalis

Dopo 150 anni la Francia presenta il conto all’Italia per l’aiuto fornito a Cavour contro gli occupanti austriaci. E il prezzo è salato: il più famoso gruppo alimentare (Parmalat) e un gioielliere (Bulgari) che tutto il mondo ci invidia. Ma non è finito: nella lista c’è anche il secondo produttore di energia (Edison) e la più grande compagnia d’assicurazioni italiana (Generali). Per non parlare del tentativo di sottrarci quel protettorato in Nord Africa (la Libia) reinventato negli anni Sessanta dai nostri 007 con il golpe a re Idris e consolidato anche con i baciamano di Silvio Berlusconi sull’anello di Muhmmar Gheddafi: si tratta di 3 miliardi di euro tra petrolio e gas naturale e altri 3 per costruire le infrastrutture che il Raìs aveva quasi interamente affidato a Impregilo.

Insomma: chi pensa che i colossi d’Oltralpe si fermino alla Parmalat nella loro campagna d’Italia è un illuso perché la strategia francese è quella di intervenire in società dall’azionariato frastagliato o indebolito per far pesare quello che manca ai concorrenti italiani: moneta sonante (nonostante le proprie banche vadano verso svalutazioni superiori ai due miliardi), grandi multinazionali, un sistema finanziario e un apporto giuridico con il quale chiudere operazioni al limite dell’impossibile. Oltre a un’innegabile dose di spregiudicatezza, facilitata anche da un Eliseo che prima della crisi ha reso quasi incontendibili tutte le maggiori società del Paese quotate in borsa e che fanno parte dell’indice di riferimento, Cac40. La spregiudicatezza francese affonda in una realtà nella quale le banche, per non mettere mano al portafogli per consolidare il controllo di Parmalat, tengono sulla graticola Enrico Bondi e si fanno sfilare il “gioiellino”. La politica, dal canto suo, non trova il coraggio per fare di Edison il contenitore delle utilities del Nord pur di non infastidire Enel. Per questo la famiglia Bulgari, viste le gelosie tra i nostri signori del lusso e l’assenza di un gigante del settore, è finita quasi per essere “costretta” ad accettare l’ottima offerta di Lvmh (un pacchetto pari al 3,5 per cento del gruppo francese) per non finire inghiottita e spezzettata da un fondo speculativo. I conti di Ligresti, altro esempio, vanno in rosso, ma nessuno ha la forza di chiedere all’ingegnere di scegliere tra assicurazioni e mattoni. In questo contesto si inserisce l’operazione Parmalat.Nella disattenzione dei nostri guardiani la Lactalis della famiglia Besnier – gente che non presenta un bilancio vero dal 2001 – prima ha rastrellato in Borsa il 13,7% della società di Collecchio, poi ha strappato il 15,3 in mano ai fondi Zenit, Mackenzie e Skagen, nonostante il ministro dell’Economia Giulio Tremonti avesse annunciato una legge anti scalata e, quindi, in aperto contrasto con l’orientamento che il governo aveva espresso. Lactalis ha speso in questa operazione 1,3 miliardi di euro per mettere le mani su un’azienda che in pancia ha liquidità per 1,4 miliardi.

La prossima preda, ormai è evidente, sono le Generali: compagnia che nel 2010 ha visto la sua raccolta premi salire a quota a quota 73,18 miliardi di euro e cominciare ad infastidire il concorrente d’oltralpe Axa. Il caos, degno di un condominio particolarmente litigioso, sta coinvolgendo tutti i grandi soci del maggior gruppo assicurativo italiano che ha visto andare in frantumi la pax affaristico-finanziaria che – complice i rapporti di Enrico Cuccia – nei decenni l’ha salvata dalle mire aggressive di chiunque. Nel 2010 il nucleo di azionisti francesi di Mediobanca ha acconsentito alla creazione di un “nocciolo duro” di investitori italiani (Caltagirone, De Agostini, Del Vecchio, Ferak-Effeti) nel Leone con una quota simile a quella di Piazzetta di Cuccia: era la strada per rendere le assicurazioni più libere di svilupparsi e più indipendenti dalla morsa della merchant bank milanese. In cambio ha ottenuto di poter crescere nel salotto buono del capitalismo nostrano. La leggenda vuole che la grande finanza italiana abbia acconsentito di congelare le ambizioni del Leone dopo la promessa francese di non fare scalare il colosso di Trieste dal concorrente Axa, promessa che, se fosse vera, è comunque destinata a scadere, prima o poi. A Parigi non c’è soltanto il timore che le Generali vengano usate dai soci italiani come il sistema locale usa la locale Caisse des Depots. C’è la più sottile volontà di avere voce in capitolo nel mercato del più vicino concorrente. I francesi esportano il 63% dei propri prodotti e servizi in Europa, soltanto il 5% va in Cina. È per questo che da più di un decennio va avanti uno shopping frenetico, che ha visto Lvmh acquistare marchi come Fendi, Emilio Pucci e Rossimoda; Ppr prendersi Gucci, Bottega Veneta e Sergio Rossi; Bnp Paribas creare un gigante del credito al consumo come Findomestic e poi comprarsi la Bnl, mentre Auchan conquistava Gs e Lactalis Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori. E non stupisce che il governo francese corteggi l’Italia sin dai tempi dell’Iri per riuscire a mettere le mani sull’Alitalia, che, è bene ricordarlo, è finita sull’orlo del baratro, prima dell’intervento dei “coraggiosi” di Colaninno, anche per i troppi favori fatti ad Air France nella gestione delle rotte verso Parigi.E poi c’è il grande nodo dell’energia. Alla fine del secolo scorso il monopolista transalpino Edf scalò un’Edison abbandonata dalla Fiat al fine di creare, insieme alla svizzera Atel, un gigante nella produzione nucleare. Sarebbe nata un’infrastruttura in grado di controllare tutta l’Europa centrale e il mediterraneo sudoccidentale: progetto che sarebbe stato tutto gestito da Parigi e nel quale l’Italia avrebbe avuto solo un ruolo di comparsa. Ma gli accordi che vennero firmati nel 2001 sono in scadenza e ora Edf intende passare all’incasso ricordando all’Italia che, in cambio dello stop alle mire sull’Edison, dette all’Enel la possibilità di vendere elettricità in Francia e di assorbire parte del suo know how per rifar partire il programma nucleare, che, però, in Italia non solo non è mai partito ma che si è anche ribloccato per l’ennesima volta, rendendo quei patti del 2001 incredibilmente svantaggiosi.

A questo punto, oltre che a organizzare fantomatiche cordate di volenterosi italiani che siano disposti a difendere le imprese tricolori, forse è proprio arrivato il momento di imporre per legge la difesa degli interessi nazionali in settori strategici. Né più né meno di come ha fatto la Francia la quale, tra le imprese strategiche, ha inserito addirittura quelle agricole. Con la Ue che stava a guardare.

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